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Le osservazioni di Federcaccia Lombardia al piano faunistico regionale

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Procedimento di Valutazione Ambientale Strategica del Piano Faunistico della Regione Lombardia
OSSERVAZIONI FEDERCACCIA LOMBARDIA

OSSERVAZIONI AL PIANO FAUNISTICO VENATORIO REGIONALE

Il presente documento è stato redatto e coordinato dal Comitato Tecnico – Legale – Scientifico della Federcaccia Lombardia cui hanno attivamente partecipato gli Avv.ti Lorenzo Bertacchi e Enzo Bosio e il dott. Michele Sorrenti dell’Ufficio Avifauna Migratoria della Federcaccia Nazionale. Il dott. Michele Sorrenti ha interamente curato il capitolo dedicato all’avifauna migratoria. Si ringraziano in particolar modo il dott. Giovanni C. Scherini, la dott.ssa M. Giacomelli e i Comprensori Alpini di Sondrio per la redazione del capitolo dedicato alla pernice bianca. Si ringrazia il dott. Scherini anche per il puntuale esame delle ricerche presentate nello Studio di Incidenza a fondamento delle non proprio condivisibili conclusioni sul saturnismo nei grandi rapaci. Si ringraziail Vicepresidente Provinciale Fidc Bergamo Flavio Galizzi per la preziosa collaborazione sulle tematiche relative agli ungulati poligastrici e allo sforzo di caccia, e al quale va la paternità dei relativi paragrafi. Si ringrazia Giacomo Lanzini per il contributo pervenuto. Si ringraziano i Presidenti delle Sezioni Provinciali della FIDC Lombarda, i loro Consiglieri e tutti i cacciatori che hanno contribuito con spunti e richieste alla redazione del presente documento.
1
INTRODUZIONE E PRINCIPI FONDAMENTALI DI PIANIFICAZIONE
La scrivente associazione venatoria presenta le seguenti deduzioni ai fini della partecipazione alla procedura di formazione del piano faunistico venatorio della Regione Lombardia. Innanzitutto FIDC Lombardia chiede che nella procedura di adozione dello strumento pianificatorio vengano rispettati inderogabilmente i seguenti principi:
A) Riferimento esclusivo alle disposizioni normative ( artt. 12 e seguenti legge regionale n. 26/93) vigenti all’atto di approvazione del piano.
Il riferimento potrebbe apparire puramente pleonastico ma invero ad una lettura dello strumento proposto dalla Regione e a maggior ragione nei documenti successivi e di competenza di altri soggetti istituzionali si intravede la tendenza a voler trasformare lo strumento tipicamente ammnistrativo in uno strumento legislativo.
Per essere più precisi ci si riferisce a tutte quelle indicazioni presenti nella proposta di piano e integrate dai principi enucleati negli altri documenti disponibili della procedura di vas, in primis lo Studio di Incidenza, che tendono ad introdurre disposizioni che limitino l’attività venatoria o le attività collegate senza che vi sia una chiara e netta previsione legislativa o addirittura in contrasto con quanto previsto dalla legge.
Si faccia ad esempio il riferimento alle richieste di limitare il prelievo di alcune specie che sono invece previste come specie cacciabili dalla disposizione sia regionale che nazionale.
La richiesta della scrivente associazione è tesa al fine di far approvare uno strumento pianificatorio che sia scevro da spinte ideologiche e che rispetti in tutto e per tutto il dettato normativo. Non vi è dubbio infatti che il piano faunistico venatorio sia uno strumento ben confinato nei suoi elementi costitutivi dalla legge per cui ogni considerazione “de iure condendo” debba essere considerata illegittima.
L’art. 12 della legge regionale infatti elenca in modo assolutamente tassativo quali siano i contenuti del piano faunistico e non vi si ritrovano in esso disposizione che legittimano l’organo amministrativo a fissare regole riservate inderogabilmente alla legge. In sostanza il piano faunistico venatorio regionale deve perseguire l’obbiettivo di “mantenere ed aumentare la popolazione di tutte le specie di mammiferi ed uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico” , ma è di tutta evidenza che tele obbiettivo debba essere perseguito all’interno delle disposizioni di legge vigenti al momento della sua approvazione, e che incontestabilmente consentono l’attività venatoria a determinate specie, con determinati mezzi e in determinati periodi dell’anno.
B) Intervento di coordinamento della pianificazione provinciale teso al rispetto della normativa regionale .
La Federcaccia Lombarda chiede che l’intervento pianificatorio regionale verifichi la perfetta corrispondenza dei piani faunistici provinciali con la legge regionale e intervenga con le opportune modifiche ove si accerti che le provincie hanno evidentemente violato le disposizioni di legge istituendo divieti o limitazioni all’attività venatoria e alle attività ed essa collegate senza la sussistenza dei presupposti di legge.
Anche questa considerazione può apparire superflua ma così non è se si esaminano alcuni piani faunistico venatori provinciali che palesemente introducono limitazioni all’esercizio venatorio, sia temporali che territoriali, che non sono previste dalla legge regionale.
Non si può negare che l’organo amministrativo regionale debba , come dispone l’art. 12 l. r. 26/93 , predisporre tutti gli strumenti necessari tesi alla conoscenza della situazione faunistico venatoria e ambientale al fine della tutela della fauna selvatica, ma non si può dimenticare che lo strumento pianificatorio non è strumento legislativo e che le indicazioni in esso riportate non possono diventare previsione normativa senza l’intervento del legislatore regionale, ad eccezione dei casi espressamente previsti dallo stesso legislatore.
C) Rispetto nella pianificazione delle competenze regionali così come definite dalle nuove disposizione di legge , escludendo qualsiasi soggetto che non sia affidatario di funzioni in materia di pianificazione venatoria.
Ci si riferisce in particolare agli interventi di soggetti che istituzionalmente non sono mai stati portatori di competenze pianificatorie (ad esempio: enti gestori di parchi naturali regionali o statali o di altri istituti di tutela ambientale , ambiti territoriali di caccia o comprensori alpini) e che pur se chiamati per legge a partecipare alla formazione dello strumento pianificatorio attraverso la procedura di VAS non sono comunque titolari di competenze demandate dalla legge.
D) Revisione della parte scientifica del piano in base alle nuove conoscenze in materia di dinamica delle popolazioni di fauna selvatica. Non può sfuggire che gran parte del piano che riguarda la conoscenza delle risorse naturali e della consistenza faunistica si riferisce a studi scientifici ormai datati nel tempo. Federcaccia Lombardia ritiene necessario rivedere tale parte rivolgendo particolare attenzione alle nuove conoscenze e ai nuovi e più recenti studi ornitologici e ambientali, ed in particolare tenendo in considerazione quelli effettuati da associazioni venatorie sia nazionali che europee.
E) Valutazione dell’attività venatoria nello Studio di Incidenza
In attesa di conoscere il contenuto della Valutazione di Incidenza, già dallo Studio di Incidenza si desume come l’attività venatoria sia spesso considerata come attività con incidenza negativa sulla conservazione dei Siti di Rete Natura 2000. Si potrebbe condividere tale infondato assunto solo laddove si esplicitasse che sia presa in considerazione l’attività venatoria non regolamentata come lo è oggi, e peraltro sempre ricordando che l’attività venatoria era attività già in essere al momento dell’istituzione di SIC e ZPS. Letto il Piano e lo Studio di Incidenza non pare per nulla superfluo ricordare come a valutazione di incidenza e all’adozione di eventuali norme di mitigazione devono essere sottoposte le opere che si vorrebbero realizzare ex novo in un SIC o in una ZPS.
Ben diverso sarebbe il caso, per esempio, dell’eliminazione di una zona regimata con divieto di caccia e ricadente in SIC e ZPS: l’assoggettamento della stessa a caccia programmata a seguito della rimozione di un divieto giustificherebbe la procedura di Valutazione di Incidenza sul sito interessato. Ma mai senza dimenticare un fattore tanto banale quanto incontestabile: la caccia nei SIC e nelle ZPS è consentita dalla normativa comunitaria e dalla normativa nazionale (Decreto Pecoraro Scanio) con ben determinati limiti di legge: a fronte della scelta (motivata) del legislatore, dettata dunque con norma di rango superiore, la caccia esercitata nel rispetto dei limiti di tempo e mezzi di caccia indicati dal Decreto Pecoraro Scanio dovrebbe essere valutata con incidenza minima se non nulla sulla conservazione dei Siti di Rete Natura 2000. Ogni ulteriore limitazione e divieto non può essere dunque frutto della pianificazione venatoria né trovare giustificazione nell’esigenza di limitare l’incidenza dell’attività venatoria nei SIC e nelle ZPS.
***
FIDC Lombardia ritiene che tali considerazioni fondanti siano ineludibili per redigere uno strumento pianificatorio rispondente alle funzioni che demandate dal legislatore e rispettoso del dettato legislativo.
Escluso a priori che talune misure restrittive (in termini di periodi e specie cacciabili, ad esempio) possano assolutamente essere adottate direttamente con il PFVR, le proposte del piano stesso non dovrebbero – né potrebbero – mai nemmeno consigliare l’adozione di provvedimenti di limitazione del prelievo di talune specie per carniere e/o periodi, volta che tali provvedimenti sono di competenza di altri atti e soprattutto non possono che basarsi su fattori stagionali (esiti dei censimenti in primis).
La pianificazione territoriale, in estrema sintesi, non deve essere strumento volto a introdurre restrizioni e divieti che non le sono propri e che sono contenuti in altre disposizioni di legge, ma deve solo oggettivamente presentarsi come la base di una seria gestione della fauna selvatica, del suo prelievo sostenibile e della tutela dell’ambiente in cui vive.
Tanto premesso si presentano le ulteriori seguenti osservazioni specifiche.
1. VIZIO DI PROCEDURA
Si ritiene un gravissimo vizio di procedura quello di trasmettere il piano per la VIC di competenza della Direzione Generale Ambiente per la raccolta delle osservazioni degli enti gestori di SIC e ZPS prima di aprire il confronto con gli stakeholder sui contenuti del piano e con l’organo politico deputato all’approvazione del piano stesso.
Alla valutazione di incidenza, infatti, dovrebbe essere sottoposta la proposta di piano scaturente dalle osservazioni , dalla loro accettazione o dal loro rigetto, dal confronto politico, e non la bozza.
L’esperienza dei Piani Faunistici Provinciali ci ha insegnato come il piano sottoposto a valutazione di incidenza venga presentato poi alle osservazioni come un piano “ingessato” e che ogni eventuale osservazione o richiesta di modifica venga di conseguenza puntualmente rigettata laddove possa incidere (in qualunque modo e misura) su zone qualificate come SIC e ZPS con la semplice considerazione che il piano è già stato sottoposto a valutazione di incidenza e dunque non può essere modificato.
Il vizio di procedura, che rende vano il principio superiore della partecipazione dei soggetti interessati alla pianificazione è a dir poco palese.
Di tanto si era già informata la Regione nel mese di settembre, non appena si era saputo che il Piano era stato trasmesso agli enti gestori dei SIC e delle ZPS con avvio della procedura della valutazione di incidenza.
2. CALCOLO TASP. Capitolo 10 del PFVR – Capitolo 4.1.9 dello Studio di Incidenza
Il PFVR al capitolo 10 regimenta la metodologia di calcolo del Territorio Agro Silvo Pastorale.
Invero il Piano si sofferma unicamente sulla metodologia di calcolo del TASP complessivo e non si addentra nella sua applicazione né, tanto meno, nell’indicazione poi di quali siano le percentuali di territorio da destinare a protezione della fauna selvatica.
Trattasi ad avviso della scrivente associazione venatoria di una grave carenza: il PFVR dovrebbe infatti anche dare corpo alla disposizione della legge 26/93 inerente quale territorio possa essere conteggiato nelle porzioni da considerarsi destinate a tutela della fauna.
Ad oggi, infatti, la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato; TAR Puglia; TAR Lombardia – sez. Brescia sentenze 365 e 363 del 2014 già noete agli Uffici Regionali) ha confermato che possono essere legittimamente conteggiati nel territorio destinato a tutela anche le fasce di rispetto stradale e attorno alle abitazioni, purchè si tratti di territorio classificabile come agro-silvo-pastorale.
Tuttavia in una precedente sentenza lo stesso TAR Brescia aveva ritenuto illegittimo il calcolo effettuato dalla Provincia di Bergamo, che aveva ricompreso le suddette fasce di rispetto nella porzione di territorio (50 mt dalle vie di comunicazione, 100 mt dalle abitazioni e luoghi di lavoro) destinata a tutela della fauna.
Ha poi mutato orientamento, confermando tuttavia la correttezza di entrambi i canoni applicativi, cosicché oggi abbiamo vigenti Pianificazioni Provinciali che hanno applicato criteri di calcolo diversi, ma che rimangono parimenti validi.
Cosicché in Provincia di Bergamo oggi il territorio calcolato come destinato a tutela della fauna è tutto Territorio ASP al netto di quello ricadente nelle fasce di rispetto.
Al contrario, abbiamo piani faunistici provinciali vigenti in Lombardia (per esempio, il PFVP di Pavia) che conteggiano solo in parte il territorio vietato alla caccia come destinato a tutela, per quanto si tratti di TASP.
Se dunque la metodologia di calcolo proposta appare condivisibile, lo rimane unicamente laddove sia poi definitivamente chiarito che il territorio classificato come TASP ai fini del calcolo complessivo, quando sia a qualunque titolo intercluso all’attività venatoria (tanto quello ricadente in Oasi di Protezione quanto quello chiuso perché ricadente in fascia di rispetto) sia conteggiabile e conteggiato ai fini del raggiungimento delle quote di territorio da destinare a tutela della fauna.
Ad oggi infatti, qualora la Regione Lombardia volesse (e dovrebbe farlo) verificare quanto è il proprio TASP destinato a tutela non potrebbe certo sommare quello risultante dai vari Piani Provinciali, in quanto le percentuali provinciali pur partendo da un metodo di calcolo iniziale comune (quello proposto oggi è di fatto identico a quello del 2003) hanno poi risvolti applicativi diversi: per intenderci, il territorio destinato a tutela in Provincia di Bergamo (poco più del 20% in ATC e poco più del 10% in zona alpi) riconteggiato con gli stessi parametri del PFVP di Pavia sarebbe di gran lunga superiore. D’altra parte, laddove la Regione decidesse di seguire la linea applicativa seguita dalla Provincia di Bergamo (e oggi attualmente impugnata avanti al Consiglio di Stato) ci troveremmo di fronte all’illegittimità del metodo di calcolo applicato a monte. Secondo la vecchia sentenza del TAR Brescia (superata dal Consiglio di Stato e dalla stessa Giurisprudenza del medesimo TAR) infatti il territorio ricadente in fasce di rispetto non si sarebbe potuto conteggiare in quanto non utile ai fini di sosta e riproduzione della selvaggina. Tuttavia la metodologia di calcolo proposta dal piano considera quale TASP proprio il territorio produttivo ai fini faunistici, ivi compreso quello ricadente nelle fasce di rispetto al netto della fascia centrale urbanizzata della stessa fascia (territorio definito improduttivo, già ai sensi della Deliberazione Regione Lombardia 16 aprile 1993, n. 34983).
Ne consegue che, laddove poi in sede applicativa non si volesse computare il TASP intercluso alla caccia perché ricadente nelle fasce di rispetto quale territorio destinabile e conteggiabile ai fini delle percentuali di territorio destinate a tutela della fauna ritenendolo non utile ai fini faunistici, allora non dovrebbe nemmeno essere calcolato a monte ai fini del conteggio del TASP complessivo.
Pertanto si chiede che il capitolo relativo alla metodologia di calcolo del TASP si integrato con il chiarimento relativo ai principi di conteggio del TASP conteggiabile quale territorio destinato a tutela della fauna, precisando che, in applicazione dell’art. 12 della Legge Regionale 26/93 sia tale anche quello ricadente nelle fasce di rispetto.
In ogni caso pare una criticità che possa prestare il fianco a ricorsi la verifica delle quote di TASP attualmente destinate a tutela della fauna in Regione Lombardia.
3) INDIVIDUAZIONE DELLA ZONA ALPI. Capitolo 9 del PFVR – Capitolo 4.1.8 dello Studio di Incidenza.
Il capitolo 9 relativo alla definizione del limite della Zona Faunistica delle Alpi lascia perplessi non giungendo di fatto ad una concreta individuazione né alla definizione di un metodo di individuazione univoco.
Per tale motivo pare che l’impianto pianificatorio possa esporsi facilmente a rilievi di illegittimità: si ricorda infatti l’importanza dell’individuazione di detta zona sia al fine dell’individuazione dei valichi alpini sia al fine dell’individuazione dei territori in cui si applica la disciplina dell’attività venatoria precipua per la zona alpi. Premesso che pare esaustiva la disamina relativa ai diversi criteri applicabili, lascia perplessi la chiusura che riserva “alcuni margini di discrezionalità” agli enti preposti all’individuazione della Zona Alpi, più che altro perché pare che anche la pianificazione faunistica di dettaglio non potrà che essere effettuata dalla Regione, a fronte della soppressione delle province. Cosa di cui la pianificazione regionale dovrebbe ben tenere conto.
Si contesta peraltro la considerazione per cui la norma che prevede la destinazione in zona alpi di una minore superficie di TASP a tutela della fauna sia norma “più permissiva”: in realtà la ratio di questa scelta è da riferirsi essenzialmente alla maggiore asperità del terreno, che naturalmente offre maggior rifugio e maggiori possibilità di fuga alla fauna selvatica di quanto non offra il territorio di pianura o di collina.
4) INDIVIDUAZIONE DELLA ZONA APPENNINICA Capitolo 9 del PFVR – Capitolo 4.1.8 dello Studio di Incidenza.
Il Capitolo 9. Paragrafo 3 del Piano detta i criteri per l’individuazione della Zona Appenninica.
Si propone la completa espunzione del paragrafo in quanto la legge di semplificazione entrata in vigore in data 27.11.2015 ha eliminato dalla legge 26/93 la previsione della Zona Appenninica quale zona faunistica a sé stante.
5) ROTTE DI MIGRAZIONE. Capitolo 6 del PFVR – Capitolo 4.1.5 dello Studio di Incidenza
Il Capitolo 6 è dedicato all’individuazione delle rotte di migrazione dell’avifauna in Lombardia.
E’ di tutta evidenza come l’individuazione delle rotte si basi essenzialmente su studi ormai datati e solo in parte fondati su dati effettivamente raccolti in Regione Lombardia, dando adito a non poche contraddizioni.
Se da un lato, infatti, si dà grande risalto agli studi condotti sul versante Svizzero dell’arco alpino sino all’inizio del nuovo millennio, dall’altro si indica come principale rotta migratoria che interessa la Lombardia quella di direzione NE / SW, detta anche Italo-Ispanica. Il flusso migratorio principale dunque attraverserebbe la Lombardia in direzione della Francia Meridionale e, poi, delle Baleari. Ci si trova poi nella situazione per cui viene indicata come una tra le maggiori rotte di migrazione quella entrante dalla Svizzera attraverso il Passo dello Spluga e la Val Chiavenna, salvo poi scoprire che il Piano Faunistico della Provincia di Sondrio non ha individuato nel Passo dello Spluga un valico montano di maggior interesse per il flusso migratorio. Del resto i dati degli abbattimenti della selvaggina migratoria proprio in quelle zone, unitamente al crollo precipitoso del numero di appostamenti fissi un tempo attivati in gran numero dai cacciatori bergamaschi nelle zone vallive della Provincia di Sondrio, dimostra che, quanto meno rispetto a vent’anni fa il flusso migratorio attraverso la Valle Chiavenna sia fortemente diminuito. Di certo quella che un tempo era una zona particolarmente favorevole alla caccia alle allodole, oggi non pare più interessata da cospicue migrazioni nemmeno di turdidi.
Alla luce delle stesse indicazioni fornite nel Piano Faunistico, pertanto, parrebbe opportuno introdurre una fase di studio, aggiornamento ed accertamento delle rotte di migrazione in Lombardia, applicando le metodologie proposte per la verifica dei valichi montani di maggior interesse per i flussi migratori.
7) VALICHI MONTANI: Capitolo 7 del PFVR – Capitolo 4.1.6.1. della Valutazione di Incidenza.
Il PFVR si limita correttamente a indicare i criteri per l’individuazione dei valichi montani. Prosegue con l’individuazione dei valichi oggi proposti dalla Province attraverso i vigenti PFV Provinciali e fa dunque un raffronto con quelli indicati illo tepore da ISPRA e dalla proposta di PFVR del 2003 a cura dell’Università Bicocca di Milano. Prosegue con proposte di metodologie di studio per la verifica della concreta correttezza dell’individuazione dei valichi attraverso percorsi pienamente condivisibili per l’individuazione dei valichi di elevato interesse per i flussi migratori. Attraverso lo studio di incidenza la Regione passa invero ad esaminare le criticità non del Piano Faunistico Venatorio Regionale, bensì dei piani provinciali nella parte in cui hanno proposto i valichi. Valga osservare che innanzitutto tali osservazioni sono del tutto inconferenti al Piano Regionale: i più recenti Piani Provinciali sono già stati sottoposti a VAS e a Valutazione di Incidenza, anche con riferimento alla individuazione (temporanea) dei valichi. Si ribadisce che non è innanzitutto compito del PFVR individuare i valichi, ma al più indicare i criteri tecnici per la loro individuazione e che pertanto la valutazione di incidenza si deve attenere ai soli criteri.
Peraltro nel prendere in esame le scelte provinciali la Regione omette alcune considerazioni fondamentali, che rendono il paragrafo dello studio di incidenza illogico, immotivato e affetto da eccesso di potere.
Ad esempio nelle criticità rilevate la Regione osserva che alcune Province, come quella di Bergamo, non hanno individuato alcuni valichi seppur prospettati nella Pianificazione Regionale del 2003. Tale mancata rispondenza non può essere considerata una criticità: come detto tali scelte sono già state sottoposte a Valutazione di Incidenza.
Inoltre nello Studio di Incidenza non si tiene conto del dettato normativo, che prevede l’individuazione dei valichi montani esclusivamente in zona alpi di maggior tutela: ad esempio in Provincia di Bergamo i citati passi del Pertus, la Passata, Campi d’Avena, Canto Basso, Forcella, Passo della Crocetta non si trovano in zona di maggior tutela.
Ciò detto, pur individuando una “criticità” in tale mancanza, lo Studio di Incidenza non tiene in nessun conto che in tali zone la Provincia di Bergamo ha comunque istituito zone di divieto di caccia alla selvaggina migratoria sia vagante che da appostamento fisso. Ancora, i Valichi individuati in Provincia di Pavia si trovano ben al di fuori della Zona Alpi. DA ultimo si osserva che caso mai oggetto dello Studio di Incidenza dovrebbero essere solo i Valichi che ricadono in SIC e ZPS, ricordando poi che rilevanti dovrebbero essere quelli ricadenti in ZPS, volta che i SIC hanno principi fondanti diversi dalla tutela dell’avifauna. Piuttosto da un punto di vista di gestione, anche venatoria, delle specie opportuniste e comunque delle specie cacciabili stanziali, in prospettiva sarebbe opportuno individuare come valichi montani regimati con divieto assoluto di caccia nel raggio di 1000 metri soltanto i tre-quattro principali, maggiormente interessati dal flusso migratorio, per poi invece regimare quelli di minore interesse con zone di divieto di caccia alla sola selvaggina migratoria, come posto in essere dalla Provincia di Bergamo. Anzi pare una vera e propria criticità la valutazione negativa del divieto di caccia e dunque della gestione faunistico venatoria di molte specie nel raggio di mille metri dai valichi individuati: sottrarre tali zone al controllo degli ungulati impedendo il controllo delle popolazioni di cinghiale, così come
8) CRITERI GESTIONALI. Capitolo 11 del PFVR – Capitolo 4.1.10 dello Studio di Incidenza.
8.1) Criteri gestionali per le specie di maggior interesse. Considerazioni generali. Considerazioni sull’incidenza dell’attività venatoria regolamentata sui tetraonidi e sulla coturnice.
Previo rinvio al paragrafo delle presenti osservazioni (paragrafo a cura del Dott. Michele Sorrenti – Ufficio Avifauna Migratoria della Federcaccia Nazionale), si rileva come lo studio di incidenza sia assolutamente carente nella parte in cui non rileva una palese criticità del PFVR laddove non preveda tra gli interventi gestionali quelli volti a contenere talune specie non cacciabili.
Il cigno reale, ad esempio, rappresenta un notevole fattore limitante della presenza e la crescita degli anatidi e dell’avifauna palustre e lacustre: oltre che per la sua forte territorialità, la sua eccessiva presenza è particolarmente impattante per l’intera catena alimentare.
Ancora, il mancato contenimento delle marmotte rappresenta un fattore critico per la salvaguardia delle covate e nidiate di fagiano di monte e coturnice.
In generale nel PFVR a caccia viene considerata fattore di minaccia per le specie alpine (coturnice, pernice bianca, gallo forcello) così come per altre specie (tra cui viene inserito il tordo bottaccio, in stato di conservazione eccellente sebbene si tratti della specie sottoposta al maggior prelievo venatorio): invero tale assunto del piano non è per nulla condivisibile.
Le specie alpine sono soggette ormai da due decenni ad un prelievo misurato, estremamente prudenziale, fondato su una doppia attività di censimento, tale per cui, effettuando il prelievo su paini rispettosi delle linee guida dettate dall’ISPRA non si vede come la caccia possa essere definito un fattore di minaccia. Il principio cardine dei piani di prelievo è infatti quello della SOSTENIBILITA’. Piuttosto il piano è completamente carente di un confronto tra lo stato di conservazione delle specie alpine nei territori cacciabili e in quelli ormai chiusi al prelievo venatorio almeno dai primi anni del nuovo millennio. L’esperienza diretta dei Comitati di Gestione testimonia come spesso in questi anni la presenza di selvaggina tipica di monte non sia per nulla aumentata in zone chiuse, per quanto vocate, ed anzi si sono riscontrati dei cali, mentre buoni risultati si sono visti nelle zone gestite a fini venatori e valga ricordare che si tratta di specie non ripopolabili.
Piuttosto non si valuta quale sia l’impatto della predazione diurna e notturna: l’aumento indiscusso di rapaci e, soprattutto, corvidi mina pesantemente le possibilità di crescita delle popolazioni delle specie alpine stanziali.
Si propone che venga espressamente introdotto tra gli interventi a tutela della biodiversità anche nei SIC e nelle ZPS del ricorso al regime di deroga di cui all’art 9 della Direttiva Uccelli finalizzata al contenimento di corvidi e rapaci.
8.2) CRITERI GESTIONALI PER GLI UNGULATI
8.2.1. Considerazioni generali
Molto importante e positiva risulta l’analisi delle opportunità offerte dalla ricostituzione – evoluzione dello specifico patrimonio faunistico costituito dalla popolazione di ungulati selvatici della nostra regione, con opportunità nuove di valorizzazione del territorio agro – silvo – pastorale montano. In particolare l’incremento del turismo naturalistico, un’opportunità ancora tutta da sviluppare e valorizzare, con ampie possibilità di sviluppo e di valorizzazione delle specifiche conoscenze dei cacciatori specializzati, con un riconoscimento valoriale del ruolo socio – economico che possono avere.
Oltre a questo aspetto di tipo prettamente culturale – ambientale e sociale da valorizzare, si apprezza l’importanza riconosciuta all’attività venatoria e di gestione di questo patrimonio: la caccia viene ad assumere il ruolo di nuova e sostenibile attività di utilizzo di risorse, anche in alternativa ad altre forme di specializzazione venatoria su specie a volte in sofferenza, nonché come utilizzo e sfruttamento di ampi spazi di territorio vocato alle specie selvatiche di ungulati oggi in abbandono rispetto agli utilizzi storici legati all’allevamento tradizionale. In tale ultima ottica si apprezza l’individuazione di un’opportunità nella riconversione – finalizzazione di queste aree ad un nuovo tipo di produttività conseguente alla caccia di selezione.
8.2.2. Pianificazione e realizzazione del prelievo
Per quanto riguarda la pianificazione e realizzazione del prelievo, è condiviso il risalto dato all’importanza di utilizzo di metodologie di censimento che rivalutino il peso del monitoraggio delle popolazioni (in particolare il camoscio) relativamente al rilevamento dei dati di censimento della classe 0 e 1: tali dati meglio di altri permettono di valutare ogni anno l’andamento delle complesse dinamiche di equilibrio delle popolazioni riguardo sia al tasso di mortalità invernale che di sopravvivenza al primo inverno, i periodi più critici per gli ungulati presenti in zona alpi ed in particolare in Zona di maggior tutela.
L’utilizzo e l’analisi di serie storiche di dati raccolti dai comprensori possono fornire parametri importantissimi riguardo all’andamento di queste popolazioni, gratificando e contribuendo alla crescita culturale dei cacciatori coinvolti da diversi lustri in prima persona nella gestione del patrimonio faunistico.
Con riferimento invece alla realizzazione dei piani di prelievo si giudica positivo l’input ad una analisi non solo quantitativa, ma anche qualitativa, degli abbattimenti: se una ripartizione numerica per classi di età e sex ratio rimane il parametro fondamentale, è utile richiamare l’attenzione alla cura dello stato di salute delle popolazioni oggetto di gestione, intesa come fitness individuale dei soggetti: in via generale pare una “buona pratica” quell’attività gestionale di prelievo che ha come obiettivo il mantenimento di livelli generali di salute ottimali nell’intera popolazione, contribuendo con ciò anche ad una crescita etico – consapevole della gestione e del cacciatore.
Ciò non di meno si osserva come la gestione non possa prescindere da due aspetti ritenuti cardine per l’utile coinvolgimento dei cacciatori: la facilitazione del raggiungimento degli obiettivi del piano di prelievo soprattutto laddove si voglia garantire una selezione qualitativa dei capi da abbattere nelle diverse popolazioni, e la soddisfazione del cacciatore (inteso nell’accezione più ampia di “gestore” e “operatore” del patrimonio affidatogli, che lavora titolo volontario), intesa come accesso al prelievo senza inutili vincoli eccessivamente restrittivi, considerate le limitazioni – condizioni dei piani di prelievo, che di fatto potrebbero condizionare negativamente la realizzazione dei piani volti alla valorizzazione del patrimonio faunistico (in termini numerici, genetici, di salute e di conservazione della specie).
In questi termini si accoglie positivamente la positiva valutazione dell’assegnazione dei capi anche “di squadra” e non soltanto nominale-specifica. Si sottolinea decisamente come l’assegnazione “di squadra” sia assolutamente funzionale non solo per il cinghiale, ma anche per gli ungulati poligastrici, specialmente i cervidi, in quanto risulta essere lo strumento più idoneo alla realizzazione di un prelievo quali-quantitativo per le seguenti motivazioni:
a) Quando il numero dei capi da prelevare è inferiore al numero dei cacciatori specializzati, tale forma di prelievo, oltre che educativa e formativa, nonché fortemente socializzante, permette, anche nella fase del prelievo, il coinvolgimento di tutti i cacciatori coinvolti nella gestione, che per i censimenti richiede sempre un elevato numero di partecipanti, spessissimo ben superiore a quelli che potrebbero trovare soddisfazione poi nel prelievo individuale. Tale pratica, laddove sperimentata con serietà, ha dato risultati notevoli e forti apprezzamenti. Risulta educativo anche sotto il profilo etico – sociale.
b) Il concetto di “squadra”, in termini di condivisione, è un valore aggiunto che supera una visione privatistica della caccia, e ben si addice alla caccia di selezione, che prevede nella nostra regione, e dovrebbe prevedere anche in futuro, la presenza, in fase di prelievo, di un “accompagnatore” esperto, che non è altro che un’espressione minima di “squadra”.
Condivisibile e sostenibile risulta anche il suggerimento, a volte già recepito in fase di formulazione di regolamenti provinciali, della possibilità di operare modifiche nella realizzazione pratica temporale del piano anche in corso d’opera, al fine di ottimizzare il prelievo con aggiustamenti in conseguenza anche di errori di prelievo.
8.2.3. Valutazione dello Sforzo di Caccia sugli ungulati nello Studio di Incidenza.
Si lamenta a più riprese nello studio di incidenza la carenza di dati relativi allo sforzo di caccia riferito al prelievo degli UNGULATI.
Invero, il dato “sforzo di caccia” risulta essere riguardo agli ungulati assolutamente “non rilevante”, se non addirittura equivoco laddove non documentabile correttamente e in modo omogeneo. In carenza di tali presupposti non è nemmeno confrontabile nei dati raccolti dai Comprensori, che tendenzialmente hanno dati sullo sforzo di caccia abbastanza precisi (si consideri che ormai è prassi diffusa nei Comprensori della Regione di suddividere i comprensori in settori di dimensioni più piccole per il prelievo di selezione degli ungulati, con obblighi imposti ai cacciatori in termini di comunicazione di luogo e data dell’uscita, oltre ai normali adempimenti di cui al tesserino venatorio). Valgano al riguardo le seguenti considerazioni. Nei comprensori in cui si pratica il prelievo selettivo di più di una specie di ungulato per ciascun cacciatore ammesso, la semplice registrazione della giornata di caccia, considerato che nella stessa giornata si possono prelevare più specie a seconda delle assegnazioni fatte al singolo cacciatore, che dispone all’uscita di diverse opzioni di prelievo nello stesso territorio, non può essere di fatto un dato significativo, in quanto non attribuibile, nella realtà, alle singole specie. Il dato così calcolato finisce con l’essere inevitabilmente sovrabbondante, in quanto si preleva la specie che si incontra, e non è valutabile come sforzo di caccia reale, di fatto, alla totalità delle specie, quindi incoerente.
Se poi si considera come per ogni stagione venatoria il parametro “sforzo di caccia” sia fortemente influenzato, anche a causa della limitazione ingiustificata sotto il profilo “gestionale” e “funzionale” del prelievo, di sole tre giornate, dall’andamento climatico – stagionale, diverso per ogni stagione, si avvalora come tale dato non risulta né confrontabile negli anni all’interno dello stesso comprensorio, né confrontabile a livello regionale con altri comprensori o ambiti.
Può avere un certo valore, ed è documentabile e valutabile, solamente laddove si eserciti il prelievo selettivo ad una sola specie e dove si può praticare la caccia senza accompagnatore, quindi solamente in specifici comprensori/ambiti, comunque non comparabile con altre realtà. Dove si pratica la caccia con l’obbligo dell’accompagnatore, che a sua volta può effettuare il prelievo anche quando accompagna senza preventiva chiamata di uscita, anche questo specifico dato di prelievo non è conteggiabile come “sforzo” reale né comparabile.
Piuttosto si osserva come MODIFICARE LE ATTUALI PRATICHE CONSOLIDATE, FUNZIONALI AL COMPLETAMENTO DEI PIANI NEI TEMPI PREVISTI, AL SOLO FINE DI AVERE PARAMETRI
RELATIVI ALLO SFORZO DI CACCIA PIU’ CERTI POTREBBE RISULTARE ESTREMAMENTE NEGATIVO.
Soprattutto laddove si volesse davvero far tendere la gestione venatoria degli ungulati poligastrici verso principi qualitativi del prelievo e non unicamente quantitativi si dovrebbe considerare e favorire un aumento dello sforzo di caccia.
Se spesso infatti si ritiene che minore sia lo sforzo di caccia per la realizzazione di un piano di prelievo sia sintomo di una buona densità di animali che renderebbe, di fatto, più facili gli abbattimenti, ciò può avere una valenza positiva solo laddove si voglia perseguire una gestione solo quantitativa dei piani di prelievo.
Al contrario la necessità di effettuare diverse e più numerose uscite di caccia per completare il piano di prelievo non necessariamente deve essere considerato sintomo di minore densità di animali, ma ben può essere dettato dalla necessità/volontà di attendere e/o individuare un determinato capo che si ritiene meglio prelevare anche in termini di miglior stato di salute della popolazione.
A riguardo non si manca di rilevare come la limitazione di fatto delle giornate di caccia di selezione a tre alla settimana (diversamente da come invece si fa, correttamente considerati i vincoli stretti del concetto stesso di selezione, per esempio in Emilia Romagna, in cui le giornate a disposizione del prelievo selettivo non esiste in quanto vengono lasciate alla disponibilità – possibilità – scelta del singolo cacciatore), risulta essere incongrua al concetto stesso di prelievo selettivo, già fortemente limitato nei numeri e nelle classi di età/sesso del prelievo.
Si considerino che le giornate utili al prelievo sono già di per sé assai limitate dal tempo atmosferico, dal comportamento degli animali, quindi dalla contattabilità degli animali nei diversi mesi in cui si esercita il prelievo.
Condizionare le modalità di prelievo per avere dati relativi allo sforzo di caccia dunque risulta essere una necessità/obiettivo non giustificabile, né perseguibile in termini generali, se non legata a determinate e specifiche necessità di studio, comunque non generalizzabili, accettabili solamente come risultato di specifici progetti ben definiti nei tempi e nelle modalità, da concordare di volta in volta tra Università o Centri Studi e Comprensori/Ambiti.
Considerare questa mancanza di dati omogenei come una carenza o una criticità, risulta essere, di fatto, un invito alla Regione ad inventare norme di attuazione del prelievo che limiterebbero ulteriormente l’agilità necessaria all’attuazione dei piani, a discapito dell’operatività stessa dell’attività venatoria, del suo buon funzionamento in funzione del completamento dei piani e della soddisfazione del cacciatore, elemento non assolutamente trascurabile, bensì un valore da conservare. L’esperienza di oltre trent’anni di gestione della caccia di selezione in certi CA, i cui dati statistici confermano la bontà di certe soluzioni operative adottate, dovrebbe essere considerata un valore essenziale e non modificabile.
8.2.4. Cinghiale.
Non si condividono le considerazioni fortemente contrarie alla braccata quale tecnica di prelievo del cinghiale, a maggior ragione laddove si debba andare a ridurre sensibilmente la densità. L’esperienza degli ATC e del CAC è univoca nel determinare come la braccata risulti essere la tecnica di caccia maggiormente impattante sulle popolazioni del suide, soprattutto in zone di fatto accessibili solo ai cani per stanare i cinghiali e dirigerli verso le poste. In talune zone del resto metodi quali la selezione con la carabina, la girata con cane limiere e la battuta senza cani sono inattuabili e del tutto infruttuosi: la rimessa del cinghiale infatti è solitamente ubicata nelle zone più nascoste e impervie e il cane limiere, venendo tenuto al guinzaglio, non è di nessun aiuto in tutti i casi non sia possibile per il conduttore seguire il cane. Peraltro l’eventuale disturbo della braccata su altre specie può essere notevolmente ridotto con il corretto addestramento dei segugi, ovvero con l’uso di razze “a zampa corta” più facilmente controllabili dai conduttori dei cani ma egualmente efficaci sul suide. Le stesse linee guida dell’ISPRA sul punto sarebbero da confrontare con l’espansione della specie: una cosa è certa tutte le province (e le Regioni: si pensi al vicino Piemonte) che in passato hanno basato l’attività di contenimento del cinghiale sulle forme di prelievo indicate come preferibili da ISPRA, hanno dovuto far ricorso alla braccata quando ormai la situazione era uscita di controllo.
È pacifico che il più alto numero di abbattimenti ai ottenga attraverso il metodo della braccata e l’esperienza di altre regioni, in primis la Toscana, dimostrano come il consistente utilizzo di tale metodologia di caccia al suide non abbia certo ostacolato la crescita delle popolazioni di ungulati poligastrici e nemmeno il ritorno dei grandi predatori (lupo). Lo Studio di Incidenza, dunque, è del tutto carente laddove non introduca un oggettivo confronto con altre realtà dove si devono affrontare le tematiche legate al cinghiale (soprattutto Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio) per valutare oggettivamente il bilanciamento in termini di risultati tra le diverse forme di caccia, nonché di valutare oggettivamente e scientificamente l’asserita incidenza negativa delle braccate.
Non si dimentichi piuttosto che nei SIC, solitamente destinati a fini di conservazione degli habitat, l’incidenza della braccata, volta a contenere se none radicare la presenza del cinghiale, è ben inferiore alla presenza del cinghiale stesso e, in tale ottica, l’incidenza sarebbe da valutare positivamente ai fini della salvaguardia del SIC stesso.
Non è del pari vero che la braccata non consenta di fare una selezione per classi di età e di sesso: sono plurime e consolidate le esperienze di settori destinati alla braccata in cui regolamenti interni delle squadre volti a mantenere una certa struttura della popolazione del suide hanno dato i risultati ricercati: se infatti problemi ci potrebbero essere per la distinzione tra i sessi nei primi 18-24 mesi di età degli animali, il margine di errore negli animali adulti in cacciatori adeguatamente preparati è minimo.
Piuttosto si rileva l’assoluta contrarietà all’uso delle gabbie trappola in periodo venatorio in territori soggetti a caccia programmata (ATC e CAC): le stesse costituiscono infatti anche un pericolo per i cani sia da ferma che da seguita.
Con riferimento poi al consigliato uso esclusivo della canna rigata anche per la caccia al cinghiale in braccata, se in termini generali si può condividere la migliora balistica delle munizioni per tali tipi di arma in termini di minore soggezione ai rimbalzi e maggiore frammentazione, d’altra parte si rileva come spesso gli interventi avvengano in zone in cui la breve distanza di tiro, la dislocazione delle poste e la conformazione del terreno sconsigliano l’uso della canna rigata per la maggiore distanza di tiro.
9. SATURNISMO.
9.1. Capitolo 4.1.12 dello Studio di Incidenza. Osservazioni generali
Il Piano Faunistico Venatorio Regionale affronta l’aspetto dell’impatto ambientale provocato dall’uso del piombo nelle munizioni da caccia.
Fermo restando il divieto dell’uso di piombo nelle zone umide ricadenti in SIC e ZPS, previsto da norma di rango superiore, si contesta integralmente l’impostazione data dal piano e volta in via propositiva a sostenere l’integrale abolizione del piombo dalle munizioni da caccia.
Se infatti è vero che per le munizioni da canna rigata (carabina) oggi le cosiddette palle monolitiche (interamente in rame) danno ottimi risultati in termini di balistica terminale, ciò non vale per il munizionamento spezzato.
Il piano non considera invero quali siano gli effetti delle munizioni alternative.
In particolare per le leghe diverse da piombo non si hanno studi in merito alla loro presunta atossicità.
Per l’acciaio non si considerano il gran numero di animali feriti o non recuperati (a causa dell’effetto balistico terminale) e il pericolo per l’incolumità umana dovuto all’alta pericolosità per ferimenti dovuti a rimbalzi: è noto che l’acciaio, non deformabile come il piombo, anziché scaricare interamente la propria energia sul bersaglio deformandosi all’impatto, mantiene la propria forma e rimbalza.
Non si tiene in nessuna considerazione l’esperienza della Norvegia, che dopo dieci anni (dal 2005) di divieto assoluto di uso del piombo nel munizionamento da caccia, proprio quest’anno è tornata sui suoi passi: gli studi norvegesi hanno dimostrato che le munizioni alternative non sono più eco-compatibili e più efficienti del piombo, oltre al fatto che spesso provocano inutili sofferenze per gli animali e rischi per i cacciatori.
Peraltro il Piano Faunistico Regionale, nell’affrontare il problema non chiarisce assolutamente quale sia l’incidenza dell’avvelenamento da piombo sulle popolazioni di animali selvatici esaminate.
Esaminare 1, 10, 100, 1000 spoglie di animali asseritamente contaminati dall’ingestione di piombo non dà nessun dato utile se non rapportato alla popolazione intera esistente al fine di poter valutare l’effettivo impatto del piombo sulla salute delle specie selvatiche.
Del pari, rapportare le densità di piombo riscontrate nei terreni all’uso delle munizioni da caccia dopo cinquant’anni di uso intensivo di combustibili per autotrazione che scaricavano in atmosfera ingenti quantità di piombo pare quantomeno ridicolo.
Di certo pare non condivisibile, né perseguibile, il suggerimento di procedere a bonifica da piombo delle aree attorno agli appostamenti fissi (pag. 122 dello Studio di Incidenza): si ricorda peraltro come assoggettate a valutazione di incidenza e, pertanto, a relative opere di mitigazione unicamente le nuove attività all’interno di SIC e ZPS e non anche quelle già esistenti al momento dell’istituzione del SIC o della ZPS stessa. Il suggerimento dello Studio di Incidenza è pertanto fuori di luogo e potrebbe tradursi in provvedimenti illegittimi per violazione di legge e/o carenza di potere da parte dell’Amministrazione (Regionale o chi per essa).
Ancora, si aggiunga che è totalmente sbagliato definire le munizioni con caricamento diverso dal piombo come “atossiche”: ad oggi infatti non vi sono studi inerenti agli effetti di tali munizioni “atossiche” sulla salute umana e degli animali: piuttosto lo studio degli svedesi Ulf Qvarfort (Swedish Defence Research Agency) e Christer Holmgren (Swedish Environmental Agency), dal titolo “Il piombo nella selvaggina – Studio sulla bioaccessibilità dei frammenti di piombo metallico” ha dimostrato come non ci siano rischi per l’uomo dall’inserimento di selvaggina nella catena alimentare.
9.2. Capitolo 4.1.12.4 dello Studio di Incidenza. Analisi del rischio di saturnismo in relazione alla caccia di selezione agli ungulati. Ricerca n° 3 e Ricerca n° 4.
Capitolo predisposto dal dott. Giovanni C. Scherini, su incarico dei Comitati di Gestione (CG) dei 5 CAC della Provincia di Sondrio.
Si vuole qui puntualizzare alcuni passaggi della Ricerca n°3, dello Studio di Incidenza (SdI), con l’obiettivo di apportare allo stesso quelle modifiche necessarie per prima cosa a mantenere la trattazione nell’ambito della oggettività scientifica e, in seconda istanza, per non alimentare equivoci di alcun tipo. Il fine non è quindi quello di sminuire l’importanza dei dati raccolti circa l’impatto del piombo sulla fauna selvatica in generale e sui rapaci in particolare, ma di inquadrare il fenomeno in un contesto oggettivo ed assumere poi decisioni conseguenti.
Si sottolinea subito come, alla base di qualsiasi inferenza statistica vi sia il concetto di popolazione e di campione. Il campione è un sottoinsieme della popolazione che, se estratto casualmente secondo i principi della randomizzazione, ne riproduce le caratteristiche. In assenza di questa impostazione oggettivistica ogni inferenza statistica perde significato. Pertanto era doveroso precisare, mancando i requisiti di randomizzazione, come non si possa oggettivamente ritenere il campione di animali rinvenuti morti o morenti come rappresentativo della popolazione, né tantomeno fornire i valori di medie e deviazioni standard, validi forse per il campione di dati, ma privi di significato per la popolazione in generale. I sintomi del saturnismo, riportati dagli Autori nello Studio di Incidenza, sono: inedia, paralisi o escoriazione degli arti, diarrea, disturbi comportamentali.
Razionale pare invece accettare il valore soglia di 6,75 mg di piombo per Kg, che viene proposto quale limite indicativo di una contaminazione dell’organismo: in base a tale valore 9 casi su 15 presentati (60%) superano tale livello, con un livello massimo riscontrato di 76 mg/Kg.
Nel testo non viene tuttavia proposto alcun commento ai dati, se non quello di richiedere l’adozione di misure tese alla sostituzione del munizionamento in piombo.
Invece si crede che, ad esempio, sul dato di mortalità relativo alla voce “Aggressione intraspecifica” vi sia più di una cosa da dire. Watson (Watson J., 1997. The Golden Eagle. T & AD Poyser, 374 pp.) riferisce che la morte di aquile non riproduttrici come risultato di attacchi da parte di adulti territoriali era stata registrata da Haller (1982) in Svizzera. Raramente invece un uccello territoriale fu ucciso da un intruso (un caso in California ed uno in Scozia). Sembrerebbe quindi, secondo Watson, che questi casi siano stati, quantomeno in passato, poco frequenti.
Il fatto che sui 15 casi di mortalità presentati, 6 (40%) siano stati attribuiti ad aggressione intraspecifica, dimostra come rispetto agli anni ’80, in cui tale evento era un’eccezione, ora sia forse la norma. Inoltre si rileva come, dei 6 individui deceduti, 3 siano classificati come subadulti e 3 come adulti; per quanto la significatività della proporzione sia bassa, ciò è sorprendente, in quanto era ragionevole pensare che fossero gli intrusi ad avere quasi sempre la peggio, piuttosto che gli uccelli territoriali.
Si osserva ancora che 5 su 6 individui deceduti per tale causa avevano superato il valore soglia di avvelenamento e il sesto individuo aveva pure un contenuto superiore ai 3 mg/kg; tale rilievo potrebbe indurre l’ipotesi che l’avvelenamento porti a disturbi comportamentali, ad esempio: debilitazione di adulti territoriali, che soccombono più facilmente ad attacchi di giovani ancora sani. Se tale idea non fosse realistica, allora una conflittualità così elevata potrebbe indicare che i territori esistenti siano tutti occupati, con limitate possibilità di reclutamento. Peraltro, uno scarso reclutamento farebbe altresì pensare ad una bassa mortalità degli uccelli territoriali.
Un’ultima considerazione riguardo agli home range: A) nel vicino Canton Grigioni la media dei territori si approssima a 1 coppia ogni 50 Km² (Schmid et al. 1998); B) l’home range dei non riproduttori varia, secondo Watson (1997), da 2.000 a 15.000 Km² ed i valori maggiori sono attribuibili ad individui di 2 anni, cioè a quelli meno esperti, che non hanno ancora imparato dove vi siano opportunità di caccia tra gli home range degli uccelli territoriali. Ciò significa che la dimensione degli home range per gli adulti corrisponde mediamente ad una circonferenza di 8 Km di diametro, mentre per i giovani si potrebbe giungere al diametro teorico di 138 Km. Questo per rimarcare il fatto che giovani e subadulti possono arrivare da molto lontano e non poter essere quindi rappresentativi della popolazione locale, almeno per quanto concerne i livelli di avvelenamento da piombo.
Ricerca 4- Sperimentazione proiettili senza piombo nel P.N. Stelvio per gestione Cervo (pg.129)
La sperimentazione condotta nel Parco Nazionale dello Stelvio, di cui nello SdI vengono sintetizzati i dati, sembrerebbe dimostrare che non vi siano differenze statisticamente significative nell’efficacia del munizionamento senza piombo rispetto a quello tradizionale.
Bisogna però sottolineare come nella comparazione effettuata, pur essendo stato rilevato, non sia stato citato il parametro della distanza di tiro. Gli abbattimenti nel Parco, con presenza del personale di vigilanza e in assenza di altri concorrenti, si realizza in condizioni diverse e molto più “tranquille”, verosimilmente con tiri mai effettuati a distanze esasperate. In ogni caso, per completezza, è meglio che la Tabella 2 riporti anche una colonna con distanza media di sparo e relativa DS.
Non vi sono altri motivi per non ritenere corretta la sperimentazione condotta e pertanto, se non verranno alla luce esperienze contradditorie, non vi sono ragioni sostanziali per non poter cambiare il munizionamento.
Dott. Giovanni C. Scherini
9.3. Capitolo 4.1.12.4 dello Studio di Incidenza. Analisi del rischio di saturnismo in relazione alla caccia di selezione agli ungulati.
PROPOSTE PER MUNIZIONAMENTO PER ARMI A CANNA RIGATA (pg.134)
Capitolo predisposto dal dott. Giovanni C. Scherini, su incarico dei Comitati di Gestione (CG) dei 5 CAC della Provincia di Sondrio.
Si enunci come premessa un principio “ecologico”. Ogni animale carnivoro in natura si nutre di altri esseri viventi utilizzando il tutto o parti di questi, lasciando eventuali resti ad altri esseri viventi. Il ciclo dei nutrienti si apre e chiude nello stesso ambiente dove si verificano gli eventi. Anche l’uomo alle origini ovviamente soggiaceva alle stesse regole. Certamente oggi non si può pensare che l’uomo consumi direttamente sul posto le proprie prede, ma perlomeno ciò che è possibile lasciare in loco è ecologicamente corretto che non sia sottratto ad altri consumatori, né con il sotterramento, né tantomeno con il conferimento in centri di raccolta, che devono poi smaltire il rifiuto con altro consumo energetico. Le alternative proposte sono quindi ecologicamente discutibili.
Per i predatori Carnivori e Rapaci la cattura di un ungulato da parte del cacciatore rappresenta già una perdita potenziale, non si peggiori pertanto la situazione sottraendo una risorsa preziosa, disponibile con un basso consumo energetico da parte del predatore, e soprattutto all’inizio dell’inverno. Si consideri comunque come, anche con l’attuale munizionament o, sia nel caso dell’Aquila, sia del Gipeto, Il PFVR (pg.268/273) abbia evidenziato una dinamica positiva e come entrambe le specie non siano annoverate nel cap.12, tra quelle in diminuzione.
Pertanto, in attesa che il legislatore valuti e adotti conseguenti soluzioni normative, si propone di puntare ai seguenti obiettivi:
1. consigliare l’utilizzo di munizionamento senza piombo;
2. consigliare ai CG dei CA di organizzare per i soci taratura annuale dell’arma;
3. promuovere il monitoraggio, nella presente fase di transizione sperimentale, di ogni abbattimento con specifiche schede di dettaglio su arma e munizioni, distanza di tiro, risultato ottenuto;
4. consigliare al cacciatore, qualora le viscere non siano state interessate dalla pallottola di piombo di effettuare le operazioni di eviscerazione entro uno spazio possibilmente aperto, con buona visibilità dall’alto; in caso diverso di provvedere al seppellimento sotto terra o pietrame. Ovviamente in caso di munizioni atossiche si applicherà solo la prima opzione.
Dott. Giovanni C. Scherini
10.2.5. LA PERNICE BIANCA (G. C. Scherini – M. Giacomelli)
A fronte della complessità della problematica affrontata, si dedica alla pernice bianca un capitolo separato
Il presente capitolo è stato predisposto dal dott. Giovanni C. Scherini, su incarico dei Comitati di Gestione (CG) dei 5 CAC della Provincia di Sondrio. Gli stessi CG hanno esaminato una prima bozza, discusso ed infine approvato l’elaborato conclusivo. Il tutto è stato inviato alla dott. Michela Giacomelli della Provincia di Brescia, che, in rappresentanza dei Comprensori Alpini in cui risulta presente la Pernice Bianca, ha inserito alcune integrazioni.
PERNICE BIANCA INTEGRAZIONI AL PFVR
[il testo originale, citato dal PFVR è riportato con questo carattere]
4.3.3 PERNICE BIANCA pg. 67
In entrambe le province i piani mostrano un trend in diminuzione, con una riduzione di oltre il
70% della consistenza dei piani nel decennio considerato.
Ok per i diagrammi,
la valutazione del trend è inadeguata e fuorviante:
1. Dal 2011 il prelievo è stato fissato per decreto regionale;
2. Dal 2007, con il divieto introdotto nelle ZPS, la superficie cacciabile nei CAC di Sondrio si è dimezzata, in quello di Morbegno si è pressoché azzerata;
3. Dato che l’habitat della Pernice bianca in Provincia di Sondrio ha caratteristiche alto-alpine, si deve sempre considerare come l’esercizio venatorio a questa specie sia legato all’andamento meteo; nevicate di inizio inverno più o meno precoci rendono praticamente irraggiungibili la grande maggioranza delle aree, sospendendo di fatto il prelievo;
4. Si deve poi riconoscere che i piani previsti sono stati raggiunti in un numero di giornate di caccia anche molto diverso:
Per i motivi esposti non pare corretto trarre conclusioni così semplicistiche sul trend effettivo della popolazione, considerando solo i capi dei numeri prelevati.
12.4 PERNICE BIANCA pg.382
12.4.4 ALTRI INTERVENTI
Controllo altre specie
… Si è convinti, quindi, che per la conservazione ovvero l’incremento della pernice bianca, che ha indubbiamente subito una contrazione dell’areale nell’ultimo ventennio, sia utile intervenire
… nel controllo delle specie opportuniste e banali. A queste ultime potrebbe essere associata la marmotta, che si è dimostrata, inaspettatamente, come il maggior predatore delle uova di pernice bianca.
In tal senso si confida che l’argomento sia ripreso più avanti nel PFVR e specificatamente in uno dei punti dei cap. 14 e 16, con proposte concrete.
12.4.5 PIANIFICAZIONE E REALIZZAZIONE DEL PRELIEVO
§ 1: Visto lo sfavorevole stato di conservazione a livello alpino, per questa specie, ….
Significativo il fatto che si rilevi uno stato sfavorevole di questa specie e non si vada oltre al considerare gli effetti negativi prodotti dalle attività umane in montagna e dalle specie opportuniste, senza accennare all’incremento, rispetto al passato di predatori come Aquila, Poiana, Sparviere, Biancone, Gheppio e Falco pellegrino. Eppure dovrebbe essere ben noto che botte piena … mai si abbina a moglie ubriaca ! Pertanto, cosa ci si poteva aspettare ?
Scherini & Tosi (2003) hanno documentato che su 7 decessi di adulti muniti di radiocollare nell’area del M.te Sobretta, si è avuto: 1 caso di collisione, 2 predazioni certe da Ermellino, 2 predazioni da Falco pellegrino (visto sul vivo), 1 predazione probabile da Aquila, 1 predazione certa da Volpe.
§ 2: I piani di prelievo per la specie, anche a livello regionale, mostrano un trend negativo. Anche per tale motivo …
Cancellare e iniziare con: “La gestione venatoria …..”
DEFINIZIONE DEL PIANO DI PRELIEVO
§ 6: Considerato il trend della specie nell’area di distribuzione regionale, …
Togliere la frase perché non dimostrata!
Ok per il valore di S/R=1,25, ma solo se il numero di coppie primaverili in area campione uguagli quantomeno il valore medio della serie storica rilevata nella stessa area.
VERIFICA E CONTROLLO DEL PRELIEVO
… Una funzione molto importante del controllo dovrebbe essere, inoltre, quella di “monitorare” l’andamento del prelievo in funzione del successo riproduttivo che emerge dall’analisi degli abbattimenti (rapporto tra giovani e adulti). Tale parametro dovrebbe essere la base su cui decidere se è il prelievo è sostenibile e, quindi, sia corretto continuare la caccia o se sia preferibile sospenderla.
Il principio è di per sé perfetto … ma … pare che molti “tecnici” non tengano in conto come la Statistica sia una scienza con delle regole ben precise e come il significato delle proporzioni sia alquanto limitato, se non con numeri relativamente elevati.
Un solo esempio pratico: si sia effettuato un prelievo di 50 capi e rilevato il 50% di giovani: orbene, ponendo al 95% il limite di confidenza, l’intervallo fiduciale spazia dal 34% (SR=0,52) al 64% (SR=1,78) [Snedecor & Cochran, 1976; Fowler & Cohen, 2010]. Si noti che sia disponendo di un campione di 100 capi abbattuti, l’intervallo sarebbe comunque 40÷60%, con SR=0,67÷1,5; sia abbassando il limite di confidenza al valore minimale del 90%, l’intervallo si pone ancora tra il 38 (SR=0,61) ed il 62% (SR=1,63).
Non si vede pertanto come si possa proporre l’utilizzo razionale di questo parametro nella realtà dei numeri su cui si sta ragionando.
Quanto detto sopra si estenderebbe ovviamente anche alla trattazione del Gallo Forcello e della Coturnice.
16.2.4 MONITORAGGIO STANDARDIZZATO DEI GALLIFORMI ALPINI, pg. 517
Il lavoro condotto sui Galliformi alpini (bienni 2009-2010 e 2011-2013) per conto della Regione Lombardia sulle 15 cosiddette “macro-aree” rivela, almeno per quanto concerne la Pernice bianca, delle vistose “lacune”. Si riportano alcuni passi dello studio. Si inizia dall’area del P.zo Scalino, percorsa per 103,4 ha il 13 Giugno 2013! Risultato neppure un maschio rilevato!
Ma il fatto si ripete:
– per l’area di Cresta Sobretta (211,1 ha), “censita” il 14 Giugno 2013, dove gli operatori sono più fortunati, rilevando 4 femmine, 1 maschio, 1 indeterminato;
– per l’area di Valle Alpisella (245,7 ha), il 14 Giugno 2013, rilevati 10 maschi, 3 femmine, 1 indeterminati, forse grazie alla morfologia molto aperta dell’area e ad un innevamento tardivo (vedi foto allegata);
– per l’area di Valle di Lei (71,6 ha), il 12 Giugno 2013, rilevate 2 coppie.
L’unica “micro-area” regolarmente censita è quella di Val Cedec (131,8 ha), percorsa in data opportuna il 21 Maggio 2013, osservando 3 maschi e 1 indeterminato.
Dell’area denominata Val Camonica non si dà nella relazione alcuna notizia (ma i dati sono riportati in tabella).
L’indagine svolta dal 1992 al 1997 (Scherini & Tosi 2003) sia nell’area campione di Val Federia (Livigno), sia principalmente sul M.te Sobretta (Valfurva), aveva messo in luce come, su 26 nidificazioni naturali, la data media delle schiuse si collocasse al 11 luglio, con il 66% delle schiuse comprese in ± 5 giorni dalla media. Ciò significa che l’inizio della cova anticipa quella data di 23 giorni, collocandosi mediamente al 18 giugno. Dato che la media di 21 nidi ha dato un numero medio di uova pari a 6,8 e il tasso di deposizione registrato è stato di circa 1 uovo ogni 32 ore, occorrono pertanto mediamente 9 giorni per la deposizione, portando così al 9 giugno la data d’inizio della deposizione, verosimilmente con un intervallo di ± 5 gg. per contenere i 2/3 della popolazione e ± 10 gg. per contenerne il 95% (1 caso di inizio al 30/5).
Pertanto l’effettuazione di monitoraggi in data posteriore al 31 maggio non è opportuna dal punto di vista biologico, né idonea ad una verifica significativa delle coppie riproduttrici, in quanto, avvicinandosi la deposizione:
• i maschi non emettono canto spontaneo se non alle prime luci;
• le femmine divengono molto più criptiche, più elusive e meno contattabili, falsando il rilevamento.
Scherini & Tosi (2003) per il monitoraggio primaverile indicavano come periodo centrale 1-20 Maggio.
Malgrado ciò, sulla base dei dati citati, relativi al 2013, e quelli elencati in Tabella 2.16, relativi al I periodo di rilevamento, dove le aree campione avevano superfici
29
Federcaccia Lombardia – Via Bazoli n. 10, 25127 BRESCIA – tel. 338/6548702
Cf 95122950165 – email fidc.lombardia@fidc.it – pec federcaccia.lombardia@legalmail.it
completamente diverse, è stato dedotto un trend negativo della popolazione di Pernice bianca. Tra l’altro, se si confrontano le densità dei maschi, riportate nella tabella di consuntivo, in tre aree su cinque sono inspiegabilmente indicati valori nettamente maggiori nel 2013 rispetto a quelli del primo periodo.
Tabella 2.16 – Aree monitorate e densità rilevate nel quadriennio di indagine sulla presenza della pernice bianca.
Si lascia a questo punto ad altri il compito di trarre le dovute considerazioni da questi dati !
16.3.3 ATTIVITÀ DI INDAGINE E RICERCA pg. 521
Specie in diminuzione: Pernice bianca (Lagopus muta)
Si condividono i punti elencati, aggiungendo i seguenti:
1. Fornire ai CAC gli shape file degli areali di presenza, adottati dal PFVR, per una loro validazione “sul campo”, quantomeno relativamente alle aree campione.
2. Sperimentazione di nuove tecniche di censimento (es. distance sampling) o di altri periodi idonei.
3. Verifica fattibilità e differenze nel rilevamento primaverile tra prima e seconda quindicina di Maggio.
4. Registrazione di alcuni parametri meteorologici durante il periodo riproduttivo nelle diverse aree campione e loro correlazione con numero di nidiate e numero di giovani/nidiata, con una verifica indiretta dei dati del censimento tardo-estivo.
SCHEDE FAUNA – Allegato 1
13. PERNICE BIANCA – Lagopus muta – pg.83
Consistenza della popolazione
Quadro delineato troppo contradditorio:“…sul territorio regionale rimangono piccole popolazioni isolate con densità piuttosto buone.” L’affermazione non è scientifica: dato che la Pernice bianca effettua ad inizio inverno spostamenti naturali anche di ampiezza dell’ordine dei 20 Km (Scherini & Tosi 2003), si è invece certi che tutte le aree attuali di presenza delle province di CO-SO-BS-BG, pur con densità ridotte in alcuni settori dell’areale (es.: Alpi Orobiche, Basse Lepontine, Media Valcamonica, ecc.), non corrano pericolo di isolamento.
I dati citati a fine paragrafo per la provincia di SO, per quanto datati, danno peraltro un quadro di stabilità. La specie, come per tutti i Galliformi alpini, è soggetta a fluttuazioni essenzialmente in relazione alla stagionalità del successo riproduttivo e, se ciò non fosse, non si spiegherebbe il repentino incremento registrato già nel 2014 e poi nella straordinaria stagione 2015, che ha prodotto in tutte le aree campione una consistenza su valori ai massimi storici quantomeno degli ultimi 25 anni.
Fattori di pressione e di minaccia
Tutti i fattori citati possono effettivamente incidere sulla popolazione di Pernice bianca.
La considerazione che si può avanzare è quella della mancanza nel PFVR di una sollecitazione al fine di condurre, in ogni singolo CAC, una quantificazione di queste pressioni, in modo di conoscerne meglio gli effetti. Alcune di queste, tipo gli impianti sciistici sono negativi, ma premono su superfici molto ridotte, concentrando di fatto la presenza umana entro aree di superficie limitata, altre, tipo l’escursionismo o lo sci-alpinismo sono sicuramente “più leggere”, ma incidono su molta parte del territorio. Pare importante che il PFVR suggerisca in questo senso (cap. 16.4) una pianificazione del territorio che porti ad una verifica delle sovrapposizioni tra pressioni antropiche e aree faunisticamente rilevanti, come aree di svernamento, aree di nidificazione, aree di canto, ecc. che conduca ad una pianificazione del territorio maggiormente attenta alla conservazione, anche con possibilità di creare aree di rispetto di riserva integrale limitatamente ai periodi interessati allo svolgimento di una o più fasi del ciclo biologico, come realizzato nella confinante Confederazione Elvetica.
PERNICE BIANCA
INTEGRAZIONI ALLO STUDIO DI INCIDENZA [Sd I, pg. 110]
CRITICITÀ RILEVATE DAL PIANO
Il paragrafo manca di obiettività scientifica, a partire dalla “lunga lista di fattori di pressione”, che alla fine sono 7, alla supposta minaccia determinata da nuove piste ed impianti di risalita, che andrebbero ad interessare realmente superfici di habitat idoneo alla specie dell’ordine di qualche centinaio di ettari, ed ancora al supposto trend negativo dei piani di prelievo.
ANALISI IN TERMINI DI INCIDENZA
SUGLI OBIETTIVI DI CONSERVAZIONE DI RETE NATURA 2000
§ 2: “Particolarmente grave e poco approfondito …”,
come sia possibile oggettivamente ritenere un impatto grave e al contempo asserire che tale gravità sia stata poco approfondita, pare una contraddizione;
“…l’apertura di nuove aree allo scialpinismo …”
lo sci-alpinismo non ha mai avuto restrizioni, né in provincia di Sondrio, né in Lombardia, pertanto pare erroneo ritenere che nuove aree siano state aperte, piuttosto potrebbe essere reale che un incremento dei praticanti porti ad una presenza più capillare o frequente sul territorio.
“Queste nuove tendenze dello sci creano disturbo diretto anche nelle aree di nidificazione fino a primavera inoltrata,…”;
premesso che:
• lo sci di discesa si pratica solo su terreno innevato, e quindi le aree di svernamento dovrebbero essere escluse da tale pratica, in quanto, almeno in parte, necessariamente libere dalla neve,
• lo sci di discesa raramente e in poche località si esercita oltre il 20 Aprile e che tale data è in montagna solo l’inizio della primavera,
• le pernici bianche non sono ancora nei territori dove si verificherà la nidificazione, in genere ancora coperti da neve, ma si mantengono piuttosto lungo il limite delle nevi o dove si alternino chiazze di neve e terreno, anche per questioni di omocromia, pare non facilmente dimostrabile la gravità di tale impatto; diversa sicuramente l’azione determinata dallo sci-alpinismo e ovviamente dall’eliski, che quantomeno dovrebbero assoggettarsi ad una pianificazione locale, in modo di non incidere su aree importanti per la fauna.
“… La popolazione alpina è inoltre soggetta a fluttuazioni cicliche (Scherini & Tosi, 2003)…”
la citazione è fuori luogo. Nello studio citato si riporta come De Franceschi (1982) abbia rilevato una qualche ciclicità in Carnia, ma come niente del genere sia stato rilevato nella ricerca svolta in Lombardia. Ciò che è stato dimostrato (Scherini & Tosi, 1989) è invece come l’entità del prelievo delle specie di Galliformi e di Lepre alpina sia correlato negli stessi anni, almeno sul tratto di arco alpino delle Alpi Centrali, compreso tra le province di TN-BZ-SO-AO, ma questa è una questione diversa.
Si vada ora all’ultimo paragrafo di pg.112:
“… Per quanto riguarda il prelievo, il trend è fortemente negativo in tutta la Provincia …”
Oltre a quanto già detto nei punti precedenti, non si crede corretto desumere un trend a partire
dagli anni ’80 per diversi motivi:
1. Prima del 1992 l’apertura della caccia era fissata alla 3a domenica di settembre, con nidiate ancora unite e guidate dalla femmina adulta, molto più vulnerabili rispetto alle date di apertura attuali;
2. Il numero di cacciatori di selvaggina tipica alpina era a quel tempo più che doppio dell’attuale, formato in alta percentuale da cacciatori giovani; ora invece l’età media di questi specialisti si è alzata notevolmente, con una minore capacità di sforzo;
3. Pur esistendo un carniere annuale di 4 pernici bianche per cacciatore, non vi era un piano generale di prelievo e pertanto i capi prelevati erano direttamente correlati allo sforzo prodotto (n° di giornate effettuate), all’andamento meteo e alla effettiva densità della popolazione;
4. Il numero delle giornate di caccia era maggiore, in rapporto all’apertura anticipata;
5. Il territorio cacciabile aveva una superficie nettamente superiore a causa di: minor superficie di Oasi e ZRC, presenza di tutta la superficie delle Alpi Orobiche, nessuna ZPS esistente;
6. Con l’introduzione di piani di abbattimento quantitativi, il prelievo è legato alle stime condotte sulla popolazione e non direttamente alle densità reali, per cui si sono verificati casi di raggiungimento del contingente previsto dopo poche o pochissime giornate di caccia (anche solo due);
7. Parallelamente in alcuni casi i piani di prelievo sono stati completati solo alla fine della stagione, in un caso il piano non è stato ultimato, non necessariamente per la rarefazione della specie, ma perché, aprendo la caccia dal mese di ottobre, basta che si verifichi lungo la stagione venatoria un evento meteorico negativo, come una nevicata di oltre 50 cm, perché l’esercizio venatorio sia di fatto precluso o fortemente rallentato;
8. Dal 2011, a seguito dei relativi decreti Regionali, i contingenti non hanno più tenuto conto dei rilevamenti delle consistenze e ciò è stato recepito negativamente, in quanto si è vanificato lo sforzo condotto dagli operatori nello svolgimento dei conteggi.
Per “la lunga lista” di motivi elencati si crede che la trattazione dell’argomento sia stata più tendente a dimostrare un’opinione predefinita, piuttosto che oggettiva. Le serie storiche dei prelievi, dove nel 1981 si erano abbattuti 240 capi e dei prelievi dal 1993 al 1998 (6 anni), mediamente con 115 capi, danno verosimilmente l’indicazione di una situazione molto peggiore dell’attuale.
Si venga infine a quanto presentato nello SdI, da pg.113 a pg.115, circa il successo riproduttivo (SR).
L’adozione di questo solo parametro come guida della gestione venatoria è nei fatti pericoloso e tutt’altro che una garanzia per la conservazione di una popolazione.
Si premetta una prima constatazione:
Nei censimenti tardo-estivi si censiscono essenzialmente le nidiate, che si trovano a quote ed ambienti diversi rispetto agli adulti (maschi + femmine con nidiata persa) non impegnati nell’allevamento dei piccoli [Scherini 1984]. Peraltro il conteggio anche di gruppi di adulti durante il censimento non è infrequente, ma è del tutto aleatorio in quanto questi non vengono neppure cercati nei luoghi impervi o sulle pareti, ed i gruppi si spostano spesso da una valle all’altra, con una stanzialità ridotta rispetto alle nidiate con i giovani.
Si propone ora una semplice esemplificazione: in un’area campione vengano trovate 10 nidiate e 40 giovani; supponiamo che le coppie in primavera siano state 20, quindi con un normale 50% delle covate andate a buon fine; se la sex ratio fosse intorno a 1,5 M/F, avremmo anche 30 maschi, per un totale di 50 adulti, se nel censimento estivo avessimo potuto contarli tutti. In questo caso avremmo un SR pari a 40/50=0,8 juv/A < 1,25 …. Per cui la caccia sarebbe sospesa.
Ma in un monitoraggio normale difficilmente censiremmo tutti i nostri adulti, ma probabilmente molti meno, poniamo, solo 20 oltre le femmine delle 10 nidiate. In tal caso il risultato sarà SR=40/30=1,33 juv/A e pertanto la caccia sarebbe aperta.
Paradossalmente quindi:
• se le pernici bianche adulte fossero numerose, tanto da non disporre più di territori liberi, non si andrebbe a caccia, perché gli adulti sarebbero comunque in soprannumero rispetto ai giovani;
• se invece gli adulti fossero invece pochissimi e ci avvicinassimo all’estinzione, ma le poche covate avessero un buon numero di giovani, la caccia sarebbe sempre aperta !!
Si può a questo punto verificare come tale incongruenza sia reale, con i dati ufficiali di censimento del Foscagno (dati CA Alta Valtellina) e confrontare gli indici proposti in tabella 4.9 dello SdI.
Gli anni dove si trova un buon numero di giovani e tanti adulti (es. 2011) sono in rosso, quelli con neppure la metà di giovani, ma pochi adulti (es. 2006) sono considerati accettabili! Lo stesso vedasi con il confronto 2010 vs. 2014, con lo stesso numero di giovani.
E cosa dire dell’annata eccezionale del 2015, con un numero di nidiate e di giovani mai registrato in quest’area campione negli ultimi 25 anni ? Il SR è andato oltre il valore di 4, ma siamo sicuri che le cose siano andate bene davvero ? Infatti dipende tutto dal fatto di aver contattato solo 2 adulti: ma ciò è attendibile ? Vediamo di definire una stima più reale della popolazione: in annata con meteo favorevole le coppie in primavera avrebbero potuto essere una ventina per produrre 12 nidiate al netto delle perdite, quindi stimiamo 20 femmine; con una sex ratio normale M/F=1,5 avremmo anche presenti 30 maschi, per un totale di 50 Adulti. A questo punto avremmo avuto un SR=60/50=1,2. Peccato, ma il valore calcolato è sotto al minimo di 1,25 ! Anche questa annata creduta dai cacciatori eccezionale è in realtà solo un insignificante miraggio !
È sconcertante che questi dati, pur provenendo da una pianificazione provinciale, abbiano trovato posto in un PFVR e in uno Studio di Incidenza senza una loro valutazione critica.
Infine, per quanto concerne la tabella 4.10, s’è già detto, a proposito delle integrazioni al cap. 12.4.5 del PFVR e non vi sono altri argomenti da aggiungere per capire la significatività della tabella in oggetto, che peraltro mancherebbe dei numeri sui quali è stato calcolato il rapporto. Il loro ordine di grandezza non può essere comunque significativo.
Il fatto poi che non si conoscano i motivi per cui gli adulti possano essere più vulnerabili dei giovani non giustifica la decisione di presumere che il prelievo sia necessariamente casuale; si deve considerare come non sia solo questa specie a variare lungo la stagione e per motivi climatici il proprio comportamento, ma anche lo stesso cacciatore non compie percorsi casuali quando sceglie in base a tali condizioni il percorso più promettente.
PROPOSTE DI POSSIBILI SOLUZIONI pg.115
La Regione Lombardia al fine di attuare sul proprio territorio una gestione venatoria improntata su criteri conservazionistici, diede incarico all’Università di Milano – Istituto di Biologia di effettuare uno studio pluriennale su questa specie (anni 1992-1997). La relazione tecnica conclusiva fu poi pubblicata dalla stessa Regione Lombardia (Scherini & Tosi 2003).
Desta sorpresa e sconcerto che in una pianificazione regionale di tale proposta non si faccia in questo capitolo menzione, magari confutando o rifiutando i principi di gestione venatoria proposti, ma dimostrando in ogni caso quantomeno di aver preso atto delle linee suggerite da un’indagine specifica svolta dalla stessa Regione Lombardia.
Pertanto si invita chi di dovere ad una lettura attenta del capitolo dedicato alla gestione venatoria e in seguito riscrivere le nuove linee gestionali, evitando proposte statisticamente inaffidabili, come quella assurda di una verifica dopo 2 giornate di caccia del rapporto Giovani / Adulti.
Dott. Giovanni C. Scherini
11. L’AVIFAUNA MIGRATORIA NEL PIANO FAUNISTICO VENATORIO REGIONALE E NELLO STUDIO DI INCIDENZA (DOTT. MICHELE SORRENTI – UFFICIO AVIFAUNA MIGRATORIA DELLA FEDERAZIONEITALIANA DELLA CACCIA)
A fronte dell’importanza che la caccia all’avifauna migratoria riveste in Lombardia si dedica questo intero capitolo all’esame degli aspetti di studio, gestione e pianificazione territoriale e del prelievo a tale branca.
Capitolo interamente a cura del dott. Michele Sorrenti – Uffcio Avifauna Migratoria della Federazione Italiana della Caccia.
SCHEDE FAUNA
Osservazioni generali
Il sistema di classificazione riguardante lo stato di conservazione non è aggiornato. Sono utilizzate ancora le definizioni SPEC oggi abbandonate dallo stesso ente BirdLife International, che le aveva proposte nel 2004. Sono oggi disponibili sia il report Articolo 12 degli Stati Membri UE (http://bd.eionet.europa.eu/article12/), sia la Red List of European Birds del 2015, pubblicata da BirdLife International e prodotta da un pool di enti di studio degli uccelli per la Commissione (http://www.birdlife.org/sites/default/files/ attachments/
RedList%20-%20BirdLife%20publication%20WEB.pdf).
La stessa definizione “stato di conservazione” non è più attuale per gli uccelli, per i quali il report articolo 12 utilizza “stato delle popolazioni” – vedi link precedente-.
In queste due pubblicazioni, in particolare la Red List, è possibile valutare il giudizio proposto da molteplici enti sulla situazione delle specie di uccelli selvatici che vivono in Unione Europea e in Europa fino agli Urali. Sebbene tale situazione possa dipendere dal periodo in cui le schede fauna sono state predisposte, si ritiene tuttavia che il nuovo Piano Faunistico Venatorio della Regione Lombardia, avendo una prospettiva di applicazione nei prossimi anni, debba necessariamente fondarsi sui dati più aggiornati.
In relazione all’Italia, la scelta di utilizzare la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani e la Lista Rossa degli uccelli nidificanti in Italia risulta discutibile in quanto i giudizi contenuti in questi documenti spesso sono determinati da personali valutazioni e non da dati sperimentali. Ad esempio, le valutazioni riguardanti la tortora (Streptopelia turtur) nella lista rossa degli uccelli nidificanti non è in linea con quanto emerge dal programma di studio MITO2000. Similmente nella lista rossa dei vertebrati italiani, alla pagina 34, sono riportati giudizi sulla gestione venatoria degli uccelli con proposte di esclusione di specie cacciabili prive di sostegno scientifico. Un ulteriore testo di discutibile utilizzo è “Valutazione dello stato di conservazione dell’avifauna italiana” risalente al 2010, tra i cui Autori vi sono Marco Gustin e Claudio Celada, ornitologi LIPU, lo stesso volume, edito dal Ministero dell’Ambiente è uscito come opera svolta in collaborazione fra Ministero e LIPU. Nei due volumi di detto testo sono presenti valutazioni sull’attività venatoria in Italia, e proposte riguardanti scelte sulle stagioni di caccia e specie cacciabili del tutto discordanti con quanto i dati europei KC e la Guida alla disciplina della caccia UE consentono. Si vedano ad esempio le parti riguardanti le “indicazioni per la conservazione” su varie specie (es. cesena pag. 345 Vol. 2, tordo sassello pag. 375 Vol. 2 e così via, oppure pag. 86 Vol. 1 canapiglia, pag. 98 alzavola, e così via).
In sintesi:
 Le fonti bibliografiche sulla demografia e lo stato delle popolazioni delle specie di avifauna migratoria non sono aggiornate.
 In diversi casi sono stati utilizzati testi che, oltre ad essere troppo vecchi, contengono proposte limitative dell’attivita’ venatoria non fondate su dati scientifici ma su personali valutazioni degli autori
 Questo ha come conseguenza che il piano faunistico propone applicazioni e scelte non fondate sui dati più recenti.
SI RITIENE NECESSARIO RIVEDERE LE SCHEDE FAUNA ALLA LUCE DEI DATI INTERNAZIONALI, EUROPEI E NAZIONALI PIU’ AGGIORNATI.
Alcuni esempi di specie con dati da rivedere:
Cigno reale
Non è evidenziato l’impatto negativo della popolazione nidificante sulle specie nidificanti negli stessi siti. E’ ben noto il comportamento territoriale delle coppie di questa specie, che causano l’allontanamento di specie di più importante priorità di conservazione. Non è proposta la limitazione della popolazione come metodo per favorire la riproduzione di altre specie acquatiche, considerato inoltre l’origine non selvatica di molte coppie di cigno reale viventi in Regione Lombardia. Si ritiene necessario inserire il capitolo: “problematicità”, non presente per questa specie, con il concetto sopra descritto.
Fischione
Il periodo di migrazione pre nuziale descritto come inizio alla fine di gennaio è anticipato di un mese rispetto al dato nazionale KC. I riferimenti bibliografici utilizzati sono provenienti da interpretazioni personali degli autori dei testi citati e non da dati sperimentali accertati.
Alzavola
Non sono considerati i dati sulla migrazione pre nuziale della specie emersi dallo studio realizzato con la telemetria satellitare (Giunchi et al., 2014, Giunchi et al., 2015), che dimostrano un inizio della migrazione in febbraio ed un picco delle partenze in marzo.
Marzaiola
La specie è giudicata Least concern in Europa (UE+extra UE) e Vulnerable in UE secondo la Red List 2015. Per questo motivo non è esatto quanto descritto nella scheda “la specie è in declino in Europa”. L’asserzione secondo la quale l’apertura alla metà di settembre potrebbe incidere sulla popolazione nidificante Lombardia appare allarmistica poichè la migrazione della specie, cominciando in agosto, fa transitare sul territorio lombardo un numero di soggetti che sorpassano di almeno un ordine di grandezza la popolazione nidificante in regione. Inoltre l’inizio della migrazione in agosto permette alla gran parte dei soggetti che si sono riprodotti in Lombardia di essere già partiti per la migrazione post nuziale, quando apre la caccia alla terza domenica di settembre.
Mestolone
La specie è giudicata Least concern sia in Europa che in UE, secondo la Red List 2015. Per questo motivo non è esatto quanto descritto nella scheda: “la specie è in declino in Europa”.
Moretta tabaccata
La specie è giudicata Least concern sia in Europa che in UE, secondo la Red List 2015. La definizione è stata modificata a seguito dei trends positivi verificati in UE e in Europa. Anche in Italia la specie è in aumento come svernante e come nidificante (Zenatello et al., 2014, Melega, 2010).
Per questo motivo non è esatto quanto descritto nella scheda: “la specie è giudicata NT avendo subito un calo drastico in tutto il suo areale..”.
Moretta
La specie è giudicata Least concern sia in Europa che in UE, secondo la Red List 2015. Per questo motivo non è esatto quanto descritto nella scheda: “la specie è in declino in Europa”.
Quaglia
La specie è giudicata Least concern sia in Europa che in UE, secondo la Red List 2015. In Italia è giudicata in incremento moderato come nidificante (http://mito2000.it/altre-specie/). Quanto descritto nella scheda non è esatto/aggiornato.
Tarabuso
La specie è giudicata Least concern sia in Europa che in UE, secondo la Red List 2015. Quanto descritto nella scheda non è esatto/aggiornato.
Tarabusino
La specie è giudicata Least concern sia in Europa che in UE, secondo la Red List 2015. Quanto descritto nella scheda non è esatto/aggiornato.
Airone cenerino
Non è presente il capitolo “problematicità” pur essendo nota l’attività predatrice della specie su nidiacei di uccelli acquatici.
Piviere dorato
La specie è giudicata Least concern sia in Europa che in UE, secondo la Red List 2015. Quanto descritto nella scheda non è esatto/aggiornato.
Pavoncella
La specie è giudicata Vulnerable sia in Europa che in UE, secondo la Red List 2015. Quanto descritto nella scheda non è esatto/aggiornato. L’asserzione secondo cui la nidificazione sia cominciata in Lombardia a seguito della chiusura della caccia “primaverile” è una speculazione non provata da dati di fatto. La specie, una delle più studiate a livello europeo, è stata oggetto di Piano di Gestione Internazionale redatto dalla Commissione UE. In questo documento, così come nella gran parte degli studi, il declino è attribuito alla scarsa produzione di giovani per un successo riproduttivo insufficiente, causato da due fattori primari: la predazione di predatori opportunisti, e le azioni di distruzione dei nidi e degli habitat causate dalle pratiche agricole. In Lombardia la situazione è la stessa e su questi fattori è necessario intervenire. La caccia non è ritenuta un fattore determinante nella demografia della popolazione. In tale scenario risulta una speculazione la parte riguardante ruolo del prelievo venatorio, a cui si attribuisce nella scheda una capacità di ridurre la popolazione nidificante. E’ necessario sottolineare la necessità di intervento su predatori e pratiche agricole. Tra i primi vi è da considerare anche l’airone cenerino e la garzetta.
Combattente
La descrizione della fenologia non è aggiornata. La specie ha spostato a Est sia i quartieri riproduttivi che le rotte di migrazione pre nuziale (Rakhimberdiev et al. 2011, Verkueil et al, 2012). Per questo la Pianura padana ha perso nell’ultimo decennio l’importanza che aveva prima per la sosta dei combattenti in tardo inverno e primavera. Non viene fatta menzione della modifica nelle pratiche agricole delle risaie, oggi la spianatura degli appezzamenti non è più fatta previo allagamento e rullatura ma tramite laser. Ciò ha determinato la perdita di habitat durante i mesi di febbraio e marzo. E’ utilizzata ancora la definizione SPEC, oggi abbandonata, così come la frase “stato di conservazione”, da abbandonarsi in favore della nuova definizione “stato delle popolazioni”. La specie è giudicata Least Concern in Europa (UE + extra UE) e “minacciata” in UE. Due lavori dimostrano che alle diminuzioni registrate nei paesi occidentali dell’areale si evidenziano aumenti nella Siberia orientale. Un lavoro stabilisce che non esiste declino della popolazione globale (Rakhimberdiev et al., 2011).
Frullino
E’ utilizzata la definizione SPEC, non più attuale. La specie è considerata Least concern sia in UE che in Europa dalla recente Red List di BirdLife International. La specie è oggetto di uno studio FIDC Ufficio Avifauna Migratoria, arrivato al quarto anno di raccolta dati, sulle presenze e i prelievi effettuati dai cacciatori. Il primo poster è stato presentato al Convegno di Ornitologia 2015 a Caramanico Terme (Tramontana & Sorrenti, 2015).
Beccaccino
E’ utilizzata la definizione SPEC, non più attuale. La specie è considerata Least concern sia in UE che in Europa dalla recente Red List di BirdLife International. La specie è oggetto di uno studio FIDC Ufficio Avifauna Migratoria, arrivato al quarto anno di raccolta dati, sulle presenze e i prelievi effettuati dai cacciatori. Il primo poster è stato presentato al Convegno di Ornitologia 2015 a Caramanico Terme (Tramontana & Sorrenti, 2015).
Beccaccia
Specie per la quale le considerazioni sulla demografia sono palesemente non aggiornate, pur essendo intervenute variazioni sin dal 2012, rispetto a quanto descritto nella scheda del PFVR. La specie è considerata stabile e non in declino sin dal 2009, anno di uscita della pubblicazione di Wetlands International “An Atlas of Wader Population in Africa and Western Eurasia” di Delany et al..
A seguito di questa pubblicazione anche l’ente BirdLife International ha cambiato il proprio giudizio sulla specie e per questi motivi la Commissione UE non ha rinnovato il Piano di Gestione Internazionale sulla specie. Dal 2014 e 2015 sono inoltre disponibili sia il report Art. 12 degli Stati UE, sia la Red List of European Birds di BirdLife International. Per il primo la beccaccia è considerata “Secure”, e per il secondo le definizioni sono Least Concern sia in UE che in Europa.
Tortora selvatica
La specie è giudicata “quasi minacciata” in UE e “vulnerabile” in Europa. La definizione SPEC non è attuale in quanto abbandonata.
La valutazione presente nei fattori di minaccia “eccessiva pressione venatoria”, desunta dai testi Gustin et al., 2010, e Brichetti e Fracasso 2006, non è in detti testi dimostrata con prove sperimentali, ma si tratta di personali speculazioni.
Si segnala che l’utilizzo di classificazioni non aggiornate (SPEC, stato di conservazione, liste rosse superate) è presente in tutte le specie di uccelli trattate.
PIANO FAUNISTICO
Punto 11.2 Criteri gestionali per le specie di maggior interesse
Nella tabella 11.12 sono elencate le specie di “maggior interesse” per la Regione Lombardia, secondo criteri esposti nel capitolo 2, ovvero l’interesse conservazionistico, venatorio e le problematicità. Secondo tali criteri non appare evidente l’inserimento nell’elenco delle specie cigno reale, (specie che allontana uccelli acquatici di maggior interesse conservazionistico), ibis sacro (specie alloctona), airone cenerino (specie diffusa ma non trattata come fonte di problematicità).
11.2.3 Anatidi di ambienti palustri.
Si segnala l’opportunità di individuare le “cave di sabbia” e/o “cave dismesse” quali ambienti nei quali incrementare la ricettività per gli uccelli acquatici, secondo esperienze favorevoli esistenti in regione (es. cava di Brembate), in cui la concessione di appostamenti fissi di caccia ha incentivato e motivato i cacciatori-fruitori a ricreare condizioni ambientali utili alla sosta e nidificazione di molte specie, sia cacciabili che protette. Questa strategia dovrebbe portare ad all’identificazione nel Piano di dette cave e proporre l’istituzione di appostamenti con la condizione di ricreare habitat secondo linee guida emanate dalla regione stessa.
11.2.3 -Pianificazione e gestione del prelievo
Sono anche in questo capitolo riportate le specie canapiglia, codone e mestolone come “specie in sfavorevole stato di conservazione”. Come esposto nella parte “Schede Fauna” tale definizione non è più utilizzata a livello europeo. La canapiglia e il mestolone non sono specie in sofferenza, sia in UE che in Europa secondo i dati più aggiornati (Red List 2015). Il codone è giudicato vulnerabile in UE ma LC in Europa. Sulla base di questi dati aggiornati le specie canapiglia e mestolone sono da cancellare da questa parte del PFV.
La parte riguardante la sospensione della caccia in condizioni di gelo dovrebbe essere esplicitata meglio, poiché la “soglia definita di temperatura” è troppo generica. Si segnala che gli anatidi sono in grado di spostarsi di diversi km al giorno fra aree di sosta diurna e zone di alimentazione notturna, per questo le condizioni di gelo in regione Lombardia non rappresentano, se non in casi eccezionali, un problema per la sopravvivenza di questi uccelli. Si propone di modificare la definizione “soglia di definita di temperatura” in “condizioni eccezionali di gelo perduranti per periodi superiori a una settimana”, fermo restando che già la Legge Statale e la Legge Regionale prevedono il potere dell’Amministrazione competente di sospendere l’attività venatoria in casi di emergenza dovuta a condizioni climatiche..
Si segnala che esistono AFV e AATV che rilasciano anatre germanate sul territorio a scopo venatorio o ripopolamento. Tale pratica può comportare problemi di ibridazione con le popolazioni selvatiche di germano reale ne dovrebbe essere favorito il progressivo abbandono.
11.2.4 Anatidi di ambienti lacustri
Anche in questo caso è riportata la moretta come specie in “sfavorevole stato di conservazione”. I dati aggiornati (vedi sopra) sono differenti e la specie è definita LC sia in UE che in Europa. La popolazione nidificante di moretta tabaccata presente in Lombardia è frutto di immissioni, anche non autorizzate.
11.2.10 Ardeidi coloniali
Il modello di gestione integrata del territorio a favore delle popolazioni nidificanti è sicuramente una proposta valida dal punto di vista della conservazione di queste specie, tuttavia in una scala di valori, vista la buona situazione degli ardeidi in Lombardia, non appare prioritario come intervento. Questo tipo di modello andrebbe a nostro parere sviluppato per le specie in reale diminuzione sul territorio o bisognose di tutela, con il coinvolgimento diretto degli ATC e CAC, es. allodola, calandrella, pavoncella, re di quaglie. Anche in questa parte non viene evidenziato il ruolo predatorio di airone cenerino, airone bianco maggiore e garzetta su specie di interesse venatorio e conservazionistico (es. pavoncella, fasianidi, rallidi, anatidi).
11.2.29 Beccaccino
Anche in questa parte viene riferita una condizione della specie non più attuale, la definizione “stato di conservazione” non si usa più, e la specie è considerata LC sia in UE che in Europa. Si considerano utili i suggerimenti presenti per i miglioramenti degli habitat, che tuttavia dovrebbero diventare degli indirizzi obbligatori per gli ATC.
11.2.30 Beccaccia
Si ribadisce quanto esposto nella parte riferita alle schede fauna, la classificazione è superato e da modificare. I “protocolli di emergenza freddo” per la specie sono in atto in molte regioni italiane e discendono dal Piano di Gestione Internazionale UE. La specie, considerata l’estensione delle aree boschive in regione e l’incremento di queste, in particolare in montagna e collina, non rappresenta una priorità per gli interventi di miglioramento ambientale.
11.2.48 Turdidi
Mantenimento di radure e spazi cespugliati in ambiente collinare e montano
In questa parte viene evidenziato il ruolo positivo che avrebbero interventi sulle aree boschive uniformi della collina e della montagna, con creazione di radure e spazi aperti. Queste azioni sono in atto nei numerosi appostamenti fissi di caccia per turdidi esistenti in particolare nelle province di Brescia e Bergamo. L’incremento di queste aree, e la gestione nel tempo, dovrebbe essere attuata con il coinvolgimento dei cacciatori di questi appostamenti, con apposite linee guida e momenti educazionali-formativi per realizzare su larga scala quanto proposto nel PFV. Si fa presente che i cacciatori sono soggetti presenti sul territorio e che vivono le problematiche della scomparsa degli habitat. L’incentivazione di questa categoria, e il coinvolgimento in azioni di miglioramento ambientale sono la chiave per traferire in realtà quanto descritto.
Questi interventi, così come quelli già in atto negli appostamenti, contribuiscono ad aumentare la ricettività del territorio su numerose specie di migratori terrestri, sia cacciabili che protetti.
Punto 12 Programma di protezione delle specie in diminuzione
Le specie frullino e combattente non dovrebbero essere inserite in detto capitolo non essendovi dati affidabili e robusti su un reale decremento in Regione Lombardia. Nessuna delle due infatti nidifica in regione, il combattente è praticamente assente come svernante, e il frullino non è censibile se non con l’attività di ricerca col cane.
12.2 Moriglione
Per questa specie risulta necessario incrementare l’habitat costituito da bacini con acque medio-profonde. Un nuovo piano di gestione delle cave, con concessione di appostamenti fissi, condizionata ai ripristini ambientali, potrebbe favorire la specie. In generale si segnala che il decremento è verificato su larga scala, quindi la diminuzione in Lombardia non è che il riflesso a livello regionale dell’andamento sull’intero areale di svernamento. Sarebbe utile una ricerca sulle risorse alimentari nei tradizionali siti di svernamento lombardi per verificare se sono in atto modifiche negative.
12.9 Quaglia
SI condividono le proposte relative al miglioramento degli habitat, che devono tuttavia diventare delle linee guida per gli ATC, che dal Piano siano successivamente trasformate in disposizioni regionale per la gestione dei fondi degli ATC, indirizzati specificamente ai miglioramenti ambientali. La specie è oggetto di Piano di Gestione Internazionale UE, non è necessario né obbligatorio che venga redatto un Piano Nazionale, mentre è fondamentale trasformare in azioni concrete quanto presente nel Piano Internazionale, in particolare alle voci “azioni”.
Per questa specie è noto e documentato l’inquinamento genetico causato dall’ibridazione della specie selvatica con la quaglia giapponese Coturnix japonica, che viene rilasciata sul territorio per prove e gare cinofile. FIDC consiglia che la Regione favorisca finanzi l’allevamento di quaglie della sottospecie autoctona Coturnix coturnix, per favorire il progressivo abbandono dell’immissione di esemplari di quaglia giapponese.
12.12 Pavoncella
Come esposto nel Piano di Gestione Internazionale la specie soffre un calo di produttività di giovani causato da trasformazioni e interventi agricoli sui siti di riproduzione e predazione da parte di corvidi e volpe.
In tale contesto le limitazioni al prelievo venatorio non sono la chiave per riportare la specie a condizioni demografiche favorevoli, mentre le energie dovrebbero essere indirizzate a modificare i fattori riconosciuti negativi.
Sono necessarie linee guida (successivamente attuative) di ripristini ambientali (marcite e prati permanenti) per gli ATC per la popolazione svernante e controllo dei corvidi, gabbiani e ardeidi nei siti di riproduzione regionali, sempre in collaborazione con ATC e province.
12.13 Combattente
Vedi sopra per le definizioni ormai abbandonate sulla specie. La specie non è ritenuta in declino sull’areale complessivo (LC Europa UE+Extra UE fino Urali). La sosta in regione può essere incrementata incentivando i cacciatori a mantenere aree umide di bassa profondità nel periodo tardo estivo e primaverile, ovviamente consentendone la caccia, con regole precise (es. solo appostamento). Il divieto di caccia allontana l’interesse per la specie da parte dei più numerosi fruitori del territorio ovvero i cacciatori.
12.14 Frullino
Vedi sopra per le definizioni ormai abbandonate sulla specie. La specie non è ritenuta in declino (LC Europa, LC UE). Si ritiene che la specie non debba essere elencata fra quelle in diminuzione, sebbene gli interventi sugli habitat siano ovviamente utili. Anche in questo caso si ritiene debba essere evidenziato il ruolo degli ATC e dei propri fondi, da utilizzare nelle iniziative ambientali.
12.16 Allodola
Sono da ritenersi prioritari gli interventi proposti sugli habitat. In una scala di valori questa specie è quella per cui sono necessarie urgenti azioni per incrementarne la sosta e il successo riproduttivo. Sono gli ATC i soggetti che possono produrre un reale incremento di habitat favorevole alla specie sul territorio e tale compito è da inserire nel PFV. Per il monitoraggio dei prelievi sarebbe utile un’identificazione dei cacciatori specialisti e utilizzarli come “monitoratori” delle presenze oltre che dei prelievi. Si fa presente che sarebbe possibile un monitoraggio delle popolazioni svernanti nell’area di pianura, sia per conoscenza generale, sia per seguirne le tendenze prima e dopo gli auspicati interventi di miglioramenti ambientali.
13 Zone umide
Si ritiene importante offrire nel PFV le strategie per un incremento degli habitat umidi disponibili in regione, oltre che per migliorare la gestione di quelli esistenti. In tale contesto il mondo venatorio dovrebbe essere visto come una componente fondamentale ed un’opportunità di forza lavoro gratuita per l’obbiettivo ambientale. L’incentivazione alla creazione di appostamenti fissi di caccia con acque permanenti sarebbe una strada utile. Le cave di sabbia potrebbero essere ambienti idonei per ripristini favorevoli alla sosta dell’avifauna acquatica, dandole in gestione come appostamenti di caccia, secondo linee guida emanate dalla regione. Anche in questa parte è da sottolineare il ruolo degli ATC quali soggetti gestori del territorio.
Punto 14.1 Unità di gestione faunistico-venatoria
Dall’esame della situazione ambientale e faunistica della Regione Lombardia, in vari casi riconfermata da quanto esposto nel Piano, l’emergenza riguarda il territorio di pianura agricolo, che ha subito e continua a subire trasformazioni negative per la presenza della fauna. Questo dato è del resto evidente anche da studi recenti (progetto MITO2000) che evidenziano, in tutta Italia, la perdita in ricchezza di specie nelle aree agricole (Farmland bird index), opposto a un incremento per le specie forestali (Woodland bird index). Sono ben note le cause di queste modifiche, dovute all’intensificazione delle pratiche agricole, all’antropizzazione crescente con costruzione di strade e infrastrutture in genere. In tale contesto si inserisce anche la crescita numerica dei predatori opportunisti, che proprio nelle situazioni ambientali degradate trovano condizioni per l’espansione demografica (corvidi, volpe, gabbiani).
A nostro avviso è necessario che il Piano individui meglio negli ATC e in parte nei CAC, i soggetti che devono contrastare questo processo. Ciò può essere ottenuto con una previsione nel Piano, da tradursi in indicazione cogente, a investire una parte significativa del bilancio di ogni ATC in interventi sugli habitat, riducendo nel contempo quanto si spende oggi in acquisto di selvaggina, spesso ancora “pronta caccia”. Il Piano dovrebbe individuare con precisione i miglioramenti ambientali che ogni ATC dovrebbe realizzare, in particolare per le specie oggetto di Piano di Gestione Internazionale UE (quaglia, tortora, allodola, pavoncella, codone). Il fatto, ripetuto per varie specie, che manchi un piano nazionale, non esime certo le Stato Italiano e i suoi enti collegati (regione) a realizzare le “azioni” previste nei Piani di Gestione Internazionali. Si rende necessario quindi inserire nel Piano una più puntuale corrispondenza fra le azioni previste nei PDG Internazionali e i compiti degli ATC e CAC:
 Individuazione degli ATC con i territori idonei per le specie oggetto di PDG Internazionale
 Previsione degli interventi sul territorio per le diverse specie riferiti ai singoli ATC (es. mantenimento di stoppie di cereali autunno vernini per allodole svernanti e mantenimento di aree prative per allodole nidificanti)
 Realizzazione degli interventi con obbligo di spesa in miglioramenti ambientali, in collaborazione con uffici regionali.
STUDIO D’INCIDENZA
Le classificazioni delle specie utilizzate nella schede fauna (vedi sopra parte Osservazioni generali), non aggiornate, sono presenti anche nello Studio d’incidenza a pag, 33 nella tabella sulle specie dell’Allegato 1 della direttiva, e al capitolo 4.1.2. Tale situazione determina un quadro parzialmente distorto delle priorità di azione da eseguire per la conservazione della fauna in Regione Lombardia.
Cap. 3.1 Analisi dei Piani di Gestione vigenti nei SIC/ZPS lombardi.
E’ necessario rivedere criticamente i Piani di Gestione che valutano problematica l’attività venatoria all’interno o all’esterno del sito stesso. Nella maggior parte dei casi detti PDG non forniscono alcuna prova sperimentale dell’impatto negativo della caccia sugli obbiettivi di conservazione, ma solo valutazioni e speculazioni che considerano a priori la caccia come negativa.
Considerando quanto esposto in Tab. 3-2 vi sono ben 29 SIC in cui la caccia è considerata avere un impatto negativo, 8 ZPS e 1 area SIC e ZPS.
Si puntualizzano i seguenti dati di fatto:
 I SIC sono istituiti ai fini di conservare gli habitat e alcune specie di animali diverse dagli uccelli. Per questo motivo qualsiasi argomentazione presente nei PDG che valuti un impatto sugli uccelli da parte dell’attività venatoria, in relazione a un SIC è inconsistente, in quanto la conservazione degli uccelli non è un fine istitutivo del SIC.
 In questi siti SIC la valutazione di un impatto negativo sugli habitat da parte della caccia deve essere provata sperimentalmente, in caso contrario va considerata una speculazione infondata.
 Le ZPS sono aree d’interesse per gli uccelli con particolare riferimento a quelle dell’Allegato 1 della direttiva. Le proposte limitative all’attività venatoria presenti nei 9 PDG non sono provate sperimentalmente. La valutazione sull’impatto della caccia al di fuori delle aree in molti casi non può ritenersi fondata, ad esempio l’esistenza di appostamenti fissi al di fuori dell’area non può essere considerata impattante sull’area in termini di prelievo diretto di soggetti. Si ricorda infatti che l’alternanza di aree protette con aree soggette a gestione programmata della caccia è uno dei principi della legge 157 su cui si fonda la gestione faunistica.
Cap 4.1.10.2 Criteri gestionali per le specie di maggior interesse
pag. 92 Anatidi di ambienti palustri e lacustri
Quanto descritto, proveniente dal Piano stesso, non è aggiornato sempre a causa dell’utilizzo di classificazioni superate. La canapiglia e il mestolone non sono specie in sfavorevole stato né in Europa né in Unione Europea. Il codone è giudicato “Vulnerable” solo in UE. Per la moretta tabaccata le minacce di disturbo sono poco probabili vista la scarsissima presenza della specie in periodo venatorio (dati IWC Lombardia max 37 soggetti), anche nel corso delle migrazioni vista la distribuzione geografica delle popolazioni nidificanti.
Non si comprende la particolare attenzione rivolta alla moretta, come visto sopra specie giudicata LC sia in Europa che UE, sia in relazione al prelievo esercitato al di fuori delle ZPS, sia per quanto riguarda la fenologia. Sorprende constatare che si prenda in esame la moretta e non il moriglione per il quale le evidenze di declino sono evidenti.
OSSERVAZIONI RAPPORTO AMBIENTALE VAS
Pag. 254: potenziali effetti negativi
Perturbazioni temporanee che riducono in alcuni periodi dell’anno la fruibilità di aree ecologicamente significative per lo svolgimento del ciclo biologico di specie di interesse comunitario e uccelli migratori: si tratta di un concetto troppo generico che potrebbe far rientrare la caccia quale elemento negativo, si propone di sostituire la frase “in alcuni periodi dell’anno” con “il periodo riproduttivo”.
Abbattimenti involontari di specie protette dovuti alla confusione con specie cacciabili : concetto troppo generico, non si fa riferimento ad alcuna specie. L frase attribuisce al cacciatore un’immagine di scarso conoscitore delle specie cacciate. Inoltre l’abbattimento di specie protette non è di per sé un problema di conservazione delle specie stesse, ma è un illecito legalmente perseguibile. Es. l’abbattimento involontario di una tortora dal collare o di un piccione non è considerabile come l’abbattimento, di una specie rara come es. un astore o un gallo cedrone. Si chiede di eliminare questo punto o di approfondirlo mettendolo in relazione alle specie particolarmente rare.
Effetti del prelievo su popolazioni poco abbondanti: non è chiaro a quale territorio si riferisca l’abbondanza. Nel caso degli uccelli migratori l’abbondanza è relativa al transito migratorio quindi la presenza in Lombardia è di difficile valutazione. Il prelievo si compie sulle popolazioni e, nel caso degli uccelli migratori, insiste su una frazione delle popolazione complessiva. Si chiede di modificare il punto dando un riferimento spaziale, che nel caso degli uccelli migratori dev’essere internazionale.
Indicazione delle diverse forme di attività venatoria che incidono o possono incidere negativamente (all’esterno o all’interno dei siti) sullo stato di conservazione degli habitat e delle specie per le quali sono stati istituiti i siti Natura 2000 nonché delle altre aree protette: concetto troppo generico che induce possibili valutazioni aprioristicamente negative dell’attività venatoria sui siti.ì e addirittura all’esterno di questi. Si ricorda che i SIC sono istituiti per la protezione degli habitat e alcune specie di animali diverse dagli uccelli. Le ZPS sono costituite in primo luogo per la protezione degli uccelli dell’allegato 1 della direttiva. Si chiede di inserire la frase “previa valutazione tecnico scientifica degli effetti negativi”
Pag.269 : indicatore 0_7 stato di conservazione specie cacciabili: specie con trend negativo; indicatore 0_7 stato di conservazione specie cacciabili: specie comuni.
La definizione di stato di conservazione non è più attuale e per l’avifauna è stata sostituita dalla UE con la definizione di “stato delle popolazioni”. Possono infatti esistere popolazioni di una stesse specie in condizioni demografiche e conservative favorevoli e altre in condizioni negative. Non è inoltre chiaro il livello della definizione considerato nell’indicatore, se si tratta della regione, dell’Italia o dell’Europa- Paleartico. Si chiede di modificare la definizione e chiarire il livello a cui l’indicatore fa riferimento.
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CONCLUSIONI
Federcaccia Lombardia chiede che tutte le riportate osservazioni e considerazioni siano tenute in massima nota, vengano integralmente recepite e che, pertanto, alla luce anche della necessità di una revisione anche di alcuni passaggi fondanti del pianificazione, si proceda ad una attenta revisione della proposta di piano.
Brescia, 24 dicembre 2015

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